I camion da Bergamo e la corale pietà
venerdì 20 marzo 2020

Nella tarda serata di mercoledì 18 i cancelli del Cimitero di Bergamo si sono aperti, e i primi camion hanno cominciato a uscire, uno dopo l’altro, i grossi fari tondi splendenti nel buio. A decine si incolonnano, uguali negli scuri colori mimetici, nel rombo basso dei diesel potenti. Un’ immagine che come prima reazione suggerisce istintiva una parola: guerra, è come una guerra.

Ma quando tutti i camion sono in fila fuori dal monumentale cimitero, quasi plumbea cattedrale, e si mettono in marcia è, la loro, non una guerriera, ma una lentissima, funebre marcia. Perché questo è un corteo di morti, di decine e decine di vittime del virus. A Bergamo, la più colpita città italiana, ieri i morti erano 523, e il forno crematorio non basta per tante bare. Allora è arrivato l’Esercito, e giovani soldati in divisa hanno caricato quello stuolo di casse uguali per portarle altrove, in altre città, per la cremazione. Lungo le strade percorse dalla colonna grigioverde chi non dormiva, a quel rombo corale e lento, si è affacciato e ha capito, e tanti, muti, si sono fatti un segno della croce.

Ci sono immagini scattate in un istante, magari con un cellulare, che restano nella storia di un Paese. L’oscura processione di mezzi militari in una notte di quasi primavera è fra queste. Per il senso di morte di cui è piena, e anche di corale lutto – su ogni camion nel buio luccica una piccola bandiera tricolore, ed è in questi momenti che anche i più disincantati di noi la guardano con rispetto, e un po’ di commozione. Come se l’Italia fosse venuta ad aiutare Bergamo, la ricca operosa Bergamo, a seppellire i suoi troppi, troppi morti.

Fotogramma

Come se in quell’incedere funebre, centinaia di migliaia di volte rivisto in poche ore sul web, anche l’Italia dove l’epidemia non è arrivata, dove in fondo al disastro ancora non si crede, potesse aprire gli occhi e vedere: quanti morti, quanto dolore. Un’immagine che vale mille parole.

Nella notte già tiepida che ha preceduto il giorno di san Giuseppe i camion in fila ordinata hanno poi preso diverse direzioni: Rimini, Parma, Modena e altre ancora. In un diverso momento, un simile dispiegamento dell’Esercito avrebbe potuto destare in chi lo scorgeva allarme: un’esercitazione, o mezzi diretti dove, e a cosa fare? Ma la colonna militare in questa notte nulla ha di guerresco o di trionfale. Fa pensare a sgomberi di zone devastate da sciagure o terremoti, o al riportare indietro i caduti di una grande battaglia.

Proprio in questa stessa vigilia, 77 anni fa, il 19 marzo 1943, una tradotta militare varcò il Brennero e entrò in Italia, carica di qualche centinaio di sfiniti reduci dal Don. Fra quei soldati c’era anche mio padre, alpino della Julia. Partiti ignari, fieri, in decine di migliaia, eccoli alcuni di quei ragazzi, i più fortunati, che tornavano: di quanto di colpo più vecchi, e quanto segnati dalla morte. Ecco, io mi immagino che quella tradotta scendesse dal Brennero con la stessa grave lentezza della colonna di Bergamo dell’altra notte. Non avrei immaginato mai, un mese fa, una simile processione in Lombardia, alle porte di Milano, della ricca, effervescente, invidiata, trendy Milano.

Ha un’eco quaresimale la colonna dei morti di Bergamo, fa pensare a uno schiaffo secco al mondo forte, tecnologico, ambizioso che noi lombardi siamo. Ci sono anche però schiaffi, e sconfitte, che ci sono dati per un bene.

Per ritornare meno distratti, più seri, più consci di ciò che è la vita e la morte.

Credo, se penso a mio padre, che i superstiti di quella tradotta del 19 marzo 1943 tornarono a casa più umili e umani. Chissà che chi guarda passare i morti di Bergamo non senta sulla faccia uno schiaffo buono. E pietà per quegli sconosciuti, quasi tutti anziani, deportati dai loro paesi e dai loro affetti.

La larga piana padana accoglierà i morti di Bergamo con cordoglio e rispetto. E in memoria dei tanti senza funerale di questi giorni, il 27 marzo in ogni diocesi italiana, al Nord al Centro e al Sud, il vescovo andrà in un cimitero, per una preghiera in solitudine eppure corale: in un Venerdì di Quaresima che non immaginavamo.

E questo nel lutto almeno un poco risolleva: che cedano i regolamenti funerari e le divisioni e che davanti alla morte vissuta nella distanza e nella solitudine, senza la grazia di un addio in famiglia e in comunità, in ogni angolo d’Italia la Chiesa stessa sia pronta a inginocchiarsi per incidere nella memoria dei cristiani e di tutti un segno di suffragio e di consolazione. Sì, consola pensare che, al passaggio della massiccia pesante processione nel buio, ognuno si sia fermato, su questa nostra terra, in un istante di condivisa pietà. Consola scoprire che dalla notte quel-l’istante è continuato nel giorno.

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