Per battere la violenza: umanità, non incertezze
sabato 1 aprile 2017

Caro direttore,

la vile e spietata aggressione del giovane ventenne di Alatri all’uscita dalla discoteca, conclusasi con la sua morte dopo due giorni di agonia, ci ha lasciati senza fiato. Una brutale esecuzione in piena regola compiuta per di più con ferocia e in gruppo, e tutto per un litigio a seguito di apprezzamenti sulla sua fidanzata, cioè per futili motivi. Il pensiero corre a quei poveri genitori... Poi mi pongo alcune domande. 1) Questo ennesimo episodio di violenza inaudita ha radici in questa società violenta o no? 2) È ancora lecito mantenere sul territorio nazionale aperte fino a tarda notte le discoteche dove gli alcoolici e i superalcoolici scorrono a fiumi e le varie droghe e similari scorrono invece a torrenti? 3) I nostri politici hanno a cuore la crescita, il benessere fisico e morale, in una parola hanno a cuore la vita dei nostri giovani? Se può mi piacerebbe sentire il suo parere. Un caro saluto

Roberto Cortese Lerici (Sp)

Rispondo in estrema sintesi, caro amico. 1) Purtroppo è così: la nostra società è violenta perché abbiamo spettacolarizzato e banalizzato la violenza (nei gesti, nelle parole, nelle relazioni) e spesso la assolviamo, autoassolvendoci senza vero pentimento. Ma questo non cancella le responsabilità dei singoli e neanche le annacqua. 2) È lecito tenere aperte sino a tardissima notte, cioè a mattina, perché la legge lo consente, ma è sbagliato. Lei evoca il perché. Su “Avvenire” lo scriviamo e documentiamo da anni, e anche io non ho cambiato opinione. 3) Voglio sperare che «i nostri politici» si rendano conto di quanto seria e urgente sia la questione giovanile nel nostro Paese. Una questione nella quale si intrecciano i fili dell’educazione umana, dell’apertura di idee e della saldezza dei grandi valori di riferimento, del lavoro. Lo spero, ma come lei – lo sento, lo so – non ne sono affatto certo. Ma più passano gli anni più mi diventa chiaro che il contagio arrogante della violenza si vince con l’umanità (che noi cristiani chiamiamo «vita buona» praticata, comunicata, donata), non con le incertezze.

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