sabato 2 novembre 2013
COMMENTA E CONDIVIDI
Caro direttore,in seguito al suo interrogativo (posto su "Avvenire" di giovedì 17 ottobre): trovare almeno un parlamentare o un sindacalista o un imprenditore disposto a non girare la testa e a battersi davvero per cambiare finalmente le discriminazioni che esistono nel nostro Paese verso le famiglie, e soprattutto verso le donne, spose e madri, vorrei segnalare un’altra ingiustizia che alcune donne sessantenni stanno subendo nell’indifferenza di tutti. Noi siamo quelle donne che, a suo tempo, hanno scelto di fare le mamme a tempo pieno e lasciare così il posto di lavoro ai giovani. Abbiamo lavorato per raggiungere i contributi necessari per la pensione minima e ora che abbiamo raggiunto l’età per percepirla (come previsto dalla vecchia normativa), ci troviamo ingiustamente penalizzate. Dopo aver fatto la domanda per i versamenti volontari, l’Inps ci aveva confermato il superamento della soglia minima di contribuzione richiesta per l’ottenimento della pensione. Ora siamo state escluse dai salvaguardati, semplicemente per non aver versato almeno una settimana di contributi volontari entro il dicembre 2011. Noi quella settimana l’abbiamo versata oltre vent’anni fa, lavorando, e da vent’anni viviamo come gli "esodati" di oggi, sotto la soglia della povertà, con l’unico stipendio del marito che ora si è ridotto a pensione, con i figli all’università o lavoratori saltuari. In questa situazione non potevamo permetterci di versare oltre il dovuto. Il patronato e diversi funzionari dell’Inps ci hanno detto che è un cavillo della legge «ingiusto», perché ci troviamo di fronte a contraddizioni vistose: chi con quindici anni di contributi, raggiunti anche con un solo versamento volontario, percepirà la pensione secondo i requisiti previsti dalla precedente normativa (a poco più di sessant’anni di età) e altri, che con venti o trent’anni di contributi versati unicamente lavorando, dovranno attendere ancora sette anni, nonostante siano "esodati" da decenni per scelte responsabili come la cura dei figli o dei genitori non più autosufficienti. Pur non avendo gravato sulle istituzioni in tutti questi anni, ci viene chiesto un ulteriore sacrificio, continuando a vivere di rinunce, o forse è meglio dire "vivere in ombra", come fossimo invisibili, visto che nessuno muove un dito per noi. Se la legge è ingiusta, perché qualcuno che ha potere – come i mass media – non si batte per noi, come hanno fatto con gli "esodati" di oggi, a cui è stato concesso un periodo di trentasei mesi per raggiungere i requisiti richiesti? A noi che avevamo acquisito il diritto secondo tutti i requisiti allora vigenti, è stata invece aggiunta una settimana "fantasma" per escluderci.Maria G. a nome di tante sessantenniLei, cara signora Maria, riesce a spiegare con efficace semplicità l’ennesima ingiustizia costruita ai danni di persone che hanno messo la famiglia al primo posto. So di ripetermi, ma non posso farne a meno: sembra proprio che per i nostri legislatori scelte ragionate e generose di questo tipo – privilegiare la «cura dei figli o dei genitori non più autosufficienti» – siano una specie di reato, visto che in modo diretto o indiretto le persone che le compiono vengono incredibilmente e inesorabilmente "punite". Come se dedicarsi all’educazione delle nuove generazioni e all’accudimento delle persone anziane non fosse, oltre che un merito sul piano degli affetti familiari e dei princìpi morali concretamente testimoniati, anche un "bene" sociale di primissima categoria che costruisce solidarietà e ha grande valore anche sul piano economico. Mi auguro e auguro a lei, cara signora e a tutte le sessantenni nelle sue condizioni, che i ministri competenti e i parlamentari di tutti gli schieramenti si dimostrino in grado di mettere gli occhi sulla questione e ridare equità ed equilibrio a regole palesemente sbagliate.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI