venerdì 4 gennaio 2013
COMMENTA E CONDIVIDI
L’esito delle consulta­zioni sulle candidature parlamentari del Partito democratico è stato considerato come una «spostamento a sinistra» abbastanza netto dell’asse del partito. Le candidature che in qualche modo si possono considerare più vicine all’impostazione politica proposta da Matteo Renzi raggiungono a mala pena, secondo i conteggi di chi se ne intende, un decimo del totale, mentre i consensi per il sindaco di Firenze avevano sfiorato i due quinti. Non si tratta di un repentino cambiamento di umore e di propensioni politiche da parte dell’elettorato delle primarie, ma di un cambiamento della base elettorale, assai più ristretta nella consultazione per i mandati parlamentari rispetto a quella sulla leadership. Su un numero di partecipanti più ridotto, naturalmente, aumenta il peso di quelli più strettamente legati a forme di militanza organizzata, politica o sindacale, il che, insieme alla decisione di Renzi di non sostenere una 'battaglia di corrente' in questa occasione, può spiegare il divario che tutti gli osservatori hanno constatato.
La probabile conseguenza di questa vicenda, caratterizzata e forse enfatizzata nei suoi risultati dalle circostanze che hanno imposto una tempistica particolarmente accelerata e coincidente con un periodo festivo, sarà comunque una costituzione dei gruppi democratici in Parlamento più vicina alle posizioni della Cgil che a quelle che vengono definite un po’ genericamente 'moderate'. Queste circostanze rendono oggettivamente più difficile un’intesa postelettorale tra i sostenitori di Mario Monti e il partito di Pierluigi Bersani (comunque alleato di quello 'antagonista' guidato da Nichi Vendola), come ha fatto intendere il premier quando ha indicato nelle posizioni della Cgil e dell’influente ala sinistra del Pd un fattore di estremismo e di conservazione che rende assai ardua la realizzazione di aspetti essenziali di un’agenda riformista. In effetti, l’affermazione netta (e ovviamente del tutto legittima) di quest’area, che è parte della maggioranza bersaniana e ora assume una funzione, per così dire, di maggioranza della maggioranza del Pd, complica il percorso che era stato indicato dal segretario. Dopo l’accordo con la sinistra radicale di Vendola, teso a evitare tensioni a sinistra, nel disegno di Bersani c’era la ricerca di una accordo con i centristi potenzialmente facilitato dal ritorno in campo di Silvio Berlusconi.
Ma già la scelta di Monti di guidare una coalizione alternativa a quella di Bersani, con una opzione maggioritaria, ha reso questo percorso più complesso. Ora all’ostacolo esterno se ne aggiunge uno interno, la presenza massiccia di posizioni di ostilità nei confronti dell’«agenda Monti», che in passato avevano dovuto sottostare alla disciplina maggioritaria, ma che ora tendono a caratterizzare la campagna elettorale democratica. Può darsi che lo «spostamento a sinistra» del Pd sia l’effetto delle circostanze particolari della consultazione, ma va rilevato che in sostanza ricalca quelle che erano le proporzioni tra Bersani e Renzi nelle organizzazioni territoriali del partito, che una consultazione con una forte componente di partecipazione popolare aveva stravolto e che una consultazione più 'normale' ha invece confermato.
Comunque ormai è un fatto, un equilibrio che tende a stabilizzarsi, superando le logiche di provenienza e determinando un nuovo terreno del confronto politico interno al Partito democratico. Si vedrà se e come Bersani saprà usare la vittoria così estesa dei suoi sostenitori senza restarne prigioniero (come accadde a suo tempo, in qualche misura a Walter Veltroni), oppure se la direzione tendenzialmente radicale (si vedrà presto quanto anche sui temi antropologici…) assunta dal 'rinnovamento' interno finirà con il condizionare la linea, formalmente dialogante, della segreteria portandola a un confronto elettorale più nettamente e persino duramente identitario, di cui già si scorge qualche sfumatura. 
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: