Uomo d'onore e di umiltà: la mia amicizia con l'ex comandante Giani
mercoledì 16 ottobre 2019

Luigi non ha mai avuto la gioia di camminare. Era ancora un bambino quando espresse il desiderio di abbracciare il Papa. Non era facile. Feci il possibile perché il suo sogno si realizzasse. Arrivò il giorno tanto atteso. Era un mercoledì, giorno di udienza. Piazza San Pietro è gremita di fedeli e visitatori, il tempo è bello, c’è aria di festa. Spingo la carrozzina con Luigi al settimo cielo. Ci fanno sistemare in un angolo dove, quasi certamente, papa Francesco avrebbe potuto salutare il ragazzino. Fu allora che avvenne un increscioso “incidente”: un gendarme, con modi spiccioli e sgarbati, ci ingiunse di andare via. Non sapevo che fare. Luigi piangeva, m’implorava, come se avessi avuto chissà quale autorità. La Provvidenza ci venne in aiuto. Restammo. I fedeli iniziarono ad applaudire, gridare per la gioia, in lontananza già si intravvedeva l’automobile di colore bianco col Papa a bordo. Luigi era emozionatissimo.

Giunge il momento tanto atteso. Il Papa ci passa accanto, si gira, vede il bambino in carrozzina, fa fermare l’auto e fa cenno ai suoi collaboratori di passargli il bambino. Qualcuno lo solleva e glielo porge; il Papa lo accarezza, lo bacia, gli parla, lo benedice. Luigi è felice; ed io felice di vederlo felice.

Il giorno dopo sento di scrivere al Comandante Giani e raccontargli il comportamento di quel gendarme. Nel farlo gli chiedo la carità di non punire quel fratello ma solo di fargli capire che è sempre bene essere gentili e caritatevoli con tutti, soprattutto con i malati e i bambini che pieni di speranza corrono dal Papa.

Dopo poche ore arriva la risposta. Lo scritto non è una semplice lettera di ufficio, il Comandante chiede scusa ma anche comprensione e preghiere per se stesso e per i suoi uomini. Da quel giorno, lentamente, “come una grazia” nacque tra noi un’amicizia bella, discreta di cui sono sempre andato fiero.

L’amicizia tra un prete di periferia e il Comandante della Gendarmeria vaticana. Ho seguito, perciò, la vicenda delle sue dimissioni con sofferenza e sconcerto. Mai, nemmeno per un momento, ho creduto che il Comandante si fosse reso colpevole di quell’azione che Francesco non ha esitato a definire un “peccato mortale”. Chi conosce Giani sa bene quanto ligio e attento sia al suo dovere e al suo onore; egli mai avrebbe rese note le fotografie di cinque dipendenti della Santa Sede sospesi dal servizio.

L’altissimo senso del dovere e dell’onore lo hanno portato, però, benché innocente, a presentare le dimissioni al Santo Padre. Dimissioni accettate da Francesco non senza sofferenza, che ha dato, ancora una volta, prova di serietà, severità, trasparenza evangelica. Belle e commoventi le parole con cui ha voluto salutare il suo “angelo custode”.

Il Papa riconosce che Giani non ha nessuna responsabilità diretta in questa triste storia. Uguale fermezza da parte di due grandi uomini. Del Papa e di colui che per anni ha offerto la propria vita per assicurare la sua incolumità. Come se non bastasse, martedì sera il Papa si è recato a fare visita a Giani e alla sua famiglia. Un gesto di grande bellezza e umiltà. Che cosa si siano detti lo possiamo solo immaginare ma di certo le parole del Santo Padre sono state di grande consolazione per l’ex Comandante e i suoi cari.

Giani esce di scena a testa alta. Non ha niente di cui vergognarsi e niente da nascondere. E se qualcuno avesse nutrito qualche dubbio deve ricredersi. Il Papa ha ringraziato Giani per il servizio reso alla Sede Apostolica e alla sua persona. Credo che sia anche nostro dovere, di noi cristiani cattolici, che vogliamo bene alla Chiesa e al Vicario di Cristo in terra, esprimere a quest’uomo buono e integerrimo il ringraziamento e la gratitudine per il lavoro di altissima responsabilità e professionalità che lo ha portato, in Vaticano e in giro per il mondo, a rischiare la vita per permettere al successore di Pietro di svolgere il suo altissimo ministero apostolico a favore dell’umanità. Grazie, Comandante Giani.

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