Uccidere a 15 anni, gioventù rubata
mercoledì 31 maggio 2017

«Non rubare» è comandamento antico. Non rubare le cose, le idee. Non rubare la speranza. Non rubare l'innocenza di cui hanno bisogno gli uomini per diventare uomini. La vita non conosce salti, avanza per gradi. Lentamente, dolcemente. Vivi la tua età e permetti agli altri di vivere la loro. Non correre troppo, non saltare le tappe, non serve, non conviene. Dovere di ogni adulto è aiutare i bambini a imboccare la strada giusta. La loro strada, quella che li renderà felici, sereni, realizzati. Che li farà vivere in pace. Compito di ogni adulto è educare i bambini a gestire le emozioni, gli istinti, la violenza, le sofferenze, il tempo libero. Evitando di farli precipitare nella noia. Di desiderare il bene e tenere a bada il male. Chi è nato prima deve tracciare il solco, indicare il sentiero, fornire gli strumenti adatti e poi, da lontano, tenere d'occhio il suo bambino. Deve convincersi che il figlio non è completamente suo, non è proprietà privata. A colui che ha donato vita a un'altra vita incombe l'obbligo, intriso di gioia, di accudirla, custodirla, indirizzarla. E poi rimanere muto davanti al mistero uscito dalle sue viscere che va prendendo forma. Educare è cosa del cuore. Non ci si inventa educatori. Le parole, pur importanti, servono fino a un certo punto. Si educa innanzitutto con l'esempio.

In Calabria, a Mileto, un ragazzo ha ucciso un coetaneo. Ancora due vittime della prepotenza violenta e bieca. Due ragazzi che avrebbero dovuto correre dietro un pallone si affrontano, si sfidano, si uccidono. Alla vista del sangue i bambini, gli adolescenti, scappano. Da sempre. Eppure questo ragazzino ha ucciso. Gli adulti possono stare sereni? Hanno fatto il loro dovere? Hanno aiutato questo minore a gestire le passioni, qualche offesa ricevuta? Anche se viene voglia di passare oltre non possiamo farlo. Anche se sappiamo che il ragazzo è figlio di un esponente di primo piano di una cosca collegata a un potente clan. Anche se ci manca il coraggio di fermarci e fissare negli occhi le due vittime, dobbiamo farci forza. Ce lo impone le coscienza, la dignità, la nostra fede cristiana. Questi due ragazzini hanno subito una rapina. A loro sono state raccontate tante bugie. Di chi è la colpa? Chi ha sottratto loro i giorni della spensieratezza, dell'allegria? I ragazzi non vanno lasciati in balia di se stessi. Sono come un treno che senza i binari non giungerà mai a destinazione. In un paese straniero ci si perde se qualcuno toglie la segnaletica stradale. E l'adolescenza non è forse un paese straniero nel quale i bambini non hanno mai abitato? Un paese stupendo dove scorre latte e miele ma che, purtroppo, è abitato da giganti al cui confronto i ragazzi sono come nani?

La natura umana – Dio, per chi crede – ha fatto in modo che si nascesse all'interno di una famiglia. La tua famiglia. Persone legate da vincoli di sangue, di amicizia, di condivisione, di affetto, di amore. Il nucleo dove a chi ha ricevuto di più viene spontaneo donare di più. Dove il debole non si sente respinto e il forte non ostenta la sua forza. Dove il più piccolo, il più debole, il malato detta i tempi e i modi dell'andamento familiare. Una famiglia inserita in una comunità, un quartiere, un paese. Dove si parla la stessa lingua, ci si diverte insieme, si va a scuola insieme, si cresce insieme. Si fraternizza nonostante i contrasti e i problemi che possono avanzare. Tutti siamo responsabili di tutti. A tutti verrà chiesto conto della vita degli altri. Il ragazzo calabrese che ha impugnato la pistola a soli 15 anni e l'amico che è rimasto ucciso ci sferrano un pugno. Ci fanno interrogare. Ci fanno piangere lacrime amare. Dobbiamo darci da fare. Subito. I nostri ragazzi vengono derubati della loro innocenza, dei migliori anni della vita, e noi non possiamo rimanere a guardare come inebetiti. Dobbiamo scendere in campo, suscitando in loro il gusto di impegnarsi per fare il bene e odiare il male. Cominciamo da noi. Cominciamo dalle piccole cose. Davanti ai bambini smettiamola di fumare, di bere alcolici, di alzare la voce, di essere violenti. Di essere permalosi, orgogliosi, bugiardi. Suscitiamo in loro l'amore per lo studio, lo sport, la musica, il lavoro serio. Riprendiamo a dialogare, scherzare, passeggiare con loro. Mettiamo a tavola solo pane bagnato col sudore della nostra fronte. In un mondo sempre più virtuale, dove la fantasia si confonde con la realtà, rimaniamo al nostro posto.

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