Sia vero Sinodo. «Ut unum sint»
sabato 7 luglio 2018

Il 30 novembre 2014, tornando da Istanbul a Roma, dopo la visita al Fanar, Francesco ricordò quanto Atenagora disse a Paolo VI in occasione del loro incontro a Gerusalemme nel 1964, il primo dopo quasi un millennio tra un Papa e un Patriarca di Costantinopoli. «Noi andiamo avanti da soli e mettiamo tutti i teologi in un’isola, che pensino!». Non si può dire che papa Bergoglio non abbia assunto e seguito, nel suo pontificato, questa specie di "manifesto" dell’ecumenismo "di fatto" più che "di concetto". Non certo per spregio o sottovalutazione del lungo, paziente e senz’altro prezioso lavorio del dialogo teologico tra le Chiese. Ma perché egli sta applicando anche in campo ecumenico la famosa teoria del poliedro enunciata a proposito della Chiesa nella Evangelii gaudium. L’unità non ha una sola faccia. È piuttosto, come aggiunse in quella stessa conferenza stampa sull’aereo, «pregare insieme, lavorare insieme, fare insieme tante opere di carità, insegnare insieme», oltre che morire insieme («l’ecumenismo del sangue»), quando si è chiamati a dare la vita per Cristo, come purtroppo la cronaca del nostro tempo tante volte documenta.

L’incontro odierno con i patriarchi dell’Oriente sulla tomba di san Nicola dà corpo a questo volto poliedrico della ricerca dell’unità. Potremmo dire che esso abbia in sé tutti i colori dell’ecumenismo bergogliano. Ma soprattutto coniughi in maniera mirabile l’ecumenismo di vertice (la città è stata negli anni 80 anche sede di due colloqui teologici) con quello di popolo.È innanzitutto ecumenismo dell’incontro, come già è avvenuto in numerose occasioni nel corso del pontificato. L’elenco completo di simili momenti richiederebbe ben altro spazio. Qui ci si può limitare a ricordare i viaggi papali di maggior spessore ecumenico: Gerusalemme, Istanbul e Lesbo – tutte occasioni in cui Bartolomeo è stato al suo fianco come del resto lo è oggi –, lo storico abbraccio di Cuba con il patriarca di Mosca Kirill, Lund in Svezia con i luterani, l’Armenia e la Georgia. E poi l’Egitto con i copti, Torino con i valdesi, e Ginevra, per il 70° anniversario del Consiglio ecumenico delle Chiese.

Ma Bari 2018 è anche e soprattutto ecumenismo della preghiera comune. Indimenticabile quella con Bartolomeo al Santo Sepolcro, suggestiva e originale quella nei giardini vaticani (sempre presente il patriarca bizantino) per la pace tra israeliani e palestinesi, intensa quella con il primate anglicano nella chiesa di san Gregorio al Celio a Roma. Oggi si pregherà per il Medio Oriente, per i cristiani perseguitati, per le tante sofferenze ingiuste (subite anche da chi cristiano non è) che spesso sono alla base del fenomeno migratorio.

Perciò sulla tomba di san Nicola, vescovo che subì la persecuzione di Diocleziano, troverà posto anche il tema dell’ecumenismo del sangue. Papa Francesco ne ha fatto uno dei suoi principali temi ecumenici. Perché, come ricorda spesso, «quelli che per odio della fede uccidono e perseguitano i cristiani non chiedono loro se sono ortodossi o cattolici, anglicani o luterani».Infine c’è l’ecumenismo del fare e della carità. Il fatto che una parte rilevante dell’incontro odierno si svolga sul lungomare di Bari è già un segno e un messaggio. Segno di quella bellezza del creato che si deve preservare insieme (come più volte sottolineato da Francesco, Bartolomeo e altri capi di Chiese cristiane) e messaggio di pace, accoglienza e apertura verso un mare che qualcuno vorrebbe trasformare in un muro e che è comunque diventato negli ultimi tempi sempre più mare monstrum, tomba liquida per decine di migliaia di persone, e sempre meno mare nostrum.

Questo è l’ecumenismo poliedrico, pratico, popolare di papa Francesco. Declinato, oltre tutto, in una diocesi che lo ha eletto a proprio stile di Chiesa. Un ecumenismo che mettendo in pratica il Salmo 132 («Come è bello e dolce che i fratelli stiano insieme») mostra chiaramente che la strada della unitatis redintegratio dovrà essere necessariamente sinodale, come ricordava ieri l’arcivescovo di Bari, Francesco Cacucci. E quindi mai adesione o annessione degli uni agli altri, ma un procedere insieme (vescovi, teologi e popolo) verso l’unico centro che è Cristo.

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