sabato 6 novembre 2010
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Caro direttore,un devastante incendio sviluppatosi due giorni fa, il 4 novembre, nell’azienda Eureco Holding di Paderno Dugnano, specializzata nel trattamento di rifiuti tossici e pericolosi, ha causato danni ai lavoratori e liberato nell’aria agenti chimici contaminanti… (perché quando prende fuoco uno stabilimento che impiega processi chimici per trattare rifiuti tossici e nocivi, è ragionevole pensare che qualche schifezza finisca nell’aria, mescolata ai fumi). Seveso, 10 luglio 1976: il disco di rottura di uno dei reattori della Icmesa, un batch ad agitazione della capacità di 10.000 litri, contenente 2,4,5 tricolrofenato in presenza di glicol etilenico, si ruppe, provocando la fuoriuscita di parecchie centinaia di grammi di diossina. L’enorme gravità dell’incidente indusse l’allora Comunità Europea ad affrontare il problema della gestione e regolamentazione delle realtà industriali potenzialmente pericolose per la popolazione sia all’interno che all’esterno delle installazioni produttive. Tutto ciò è stato codificato in un preciso quadro giuridico, sviluppatosi proprio a partire dall’incidente di Seveso, attorno alla direttiva 501/82 o "Direttiva Seveso", della Comunità Europea, recepita nella legislatura italiana come legge 175/88, rivolta specificamente alle attività industriali in grado di originare, in seguito a un incendio, a una esplosione o a un collasso strutturale, emissioni incontrollate di materia e/o energia all’esterno dei sistemi di contenimento, tali quindi da arrecare danni considerevoli a persone e cose all’esterno dello stabilimento. Cosa fanno le autorità che dovrebbero controllare e vigilare? Perché, dopo 28 anni dall’entrata in vigore della Direttiva Seveso, i Comuni, la Provincia e l’Arpa, rimbalzandosi le responsabilità, ancora tentennano nel far rispettare i doveri stabiliti dalla Direttiva Seveso, lasciando l’intera popolazione della Regione Lombardia (quasi dieci milioni di persone) esposta senza protezione a veleni e sostanze tossiche e cancerogene? Perché giornali e televisione in casi come questi parlano dei pericoli per i lavoratori, ma ci si dimentica della sicurezza del resto della popolazione, molto più numerosa, che i veleni se li respira nell’aria e se li ingoia con l’insalata? Seveso e Paderno Dugnano non sono poi molto distanti, per chilometri e per quella che sembra tristemente la mentalità di chi gestisce il business chimico e l’incoscienza delle istituzioni che non fanno il loro dovere, ma si limitano a controlli formali basati sulla carta invece che sull’evidenza dei fatti. Forse dietro al tasso di mortalità per tumore in Lombardia c’è anche un po’ di tutto questo. Forse una popolazione più consapevole dell’handicap che deve sopportare vivendo qui potrebbe esercitare pressioni sulle istituzioni e sull’opinione pubblica. Forse cultura e istruzione nelle scuole sull’equazione Inquinamento = Omicidio di massa farebbe crescere una generazione più consapevole e responsabile.

Federico Cabrini ingegnere chimico, Bergamo

Ci sono competenza e passione, caro ingegner Cabrini, in questa sua lettera. E c’è un utile pro-memoria per noi cronisti e per tutti i cittadini-lettori. Nessun fatto ha mai un solo livello di "lettura", e nessuna tragedia si esaurisce purtroppo in una sola dimensione. Tutti, per esempio, possono facilmente rendersi conto che qualunque morte procurata e tanti tipi di sofferenza e di ingiustizia segnano e sconvolgono non soltanto la vita delle vittime, ma anche quella di quanti con le vittime hanno legami d’affetto e di vicinanza. E ognuno – se appena ci pensa – può facilmente cogliere come un disastro in fabbrica sia grave per il fatto in sé e per le conseguenze che produce sulle persone che in quell’impianto lavorano, ma non di meno per l’effetto sulle aree circostanti e sulla vita di tante altre persone, spesso del tutto ignare, che magari ritengono, fidandosi delle apparenze, di abitare a una distanza di sicurezza. Sicurezza e consapevolezza sono sorelle, caro amico. Ci sono «requisiti etici» da tener presenti e da rispettare nello svolgimento di ogni attività, ma soprattutto quando si lavora e si fa lavorare sul ciglio del pericolo per sé e per gli altri. E lei ha tutte le ragioni del mondo a chiamare a vigilanza e richiamare al dovere di educare davvero perché i nostri ragazzi – coloro che domani faranno impresa e alle imprese parteciperanno – crescano in responsabilità e in spirito comunitario.
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