Pace ed etica del sacrificio
venerdì 8 aprile 2022

Nell’attuale momento storico che la pandemia e la guerra stanno rendendo tragico, nel dibattito pubblico e non solo tra gli intellettuali continua a porsi l’alternativa fra etica della responsabilità anche co-belligerante e scelta della nonviolenza “attiva”. Ciò soprattutto a proposito della scelta concernente gli armamenti: non solo da fornire agli ucraini aggrediti, ma anche da incrementare ulteriormente nazione per nazione e neppure da indirizzare e integrare nella formazione di un vero “sistema di difesa europeo”.

Nella conferenza stampa successiva all’approvazione del Def il premier si è espresso in questi termini: «Io credo che la questione sia fra la pace e il funzionamento del termosifone, o dell’aria condizionata in estate, penso che sia questa la domanda che dobbiamo farci e che faccio anch’io. Sul price cap, su un tetto al prezzo del gas, aspettiamo una risposta della Ue, che a giorni farà una proposta, ma possiamo anche procedere con provvedimenti nazionali. Germania e Olanda non sono d’accordo, ma a un certo punto possiamo anche fare da soli». Parole chiare. Sorge, tuttavia, la questione del perché sul piano politico non si sia posta immediatamente questa alternativa che, invece, è subito emersa su un piano che si può ben definire civico, quello delle scelte personali dei cittadini e delle opzioni dei Comuni (una mobilitazione che ha trovato spazio soprattutto attraverso le pagine di questo giornale, anche in un serrato dialogo tra lettori e direttore, che ha parlato di un ragionato ed empatico «digiuno energetico»).

È questa la via maestra per sollecitare le coscienze a contrastare l’aggressore con scelte tese a porre una reale e significativa “sanzione” difensiva dei deboli, senza la quale – di fatto – si continua a finanziare la guerra di aggressione, mentre con l’invio di armi agli aggrediti la si alimenta, allungandone i tempi.

Qui, il teologo che scrive sente di dover evocare una parola, per i più sgradevole, scomoda, non politicamente corretta, che proprio nell’approssimarsi del memoriale della passione del Signore Gesù interpella le coscienze di tutti, non solo dei credenti. E la parola è: “sacrificio”. L’etica cristiana della responsabilità si declina come scelta sacrificale non degli altri, ma di sé. A tal proposito vale la pena riascoltare la lezione di un geniale regista russo, quale Andrej Tarkovskij, che nelle sue opere torna spesso sulla tematica: si pensi anzitutto a quella icona cinematografica, che l’indimenticato padre gesuita, poi cardinale, Tomás Spidlík amava commentare e leggere teologicamente, Nostalghia del 1983, alla cui sceneggiatura ha offerto un notevole contributo Tonino Guerra. Le scelte del protagonista si esercitano sempre nell’orizzonte del sacrificio, onde alimentare il desiderio del ritorno nella madre Russia, la patria perduta, che rappresenta anche la patria celeste e ultima.

La meravigliosa scena finale, con l’inquadratura dell’abbazia di san Galgano, va contemplata proprio come un’icona. Ma al tema del sacrifico il regista ha dedicato nel 1986 un film che porta proprio questo titolo. Qui l’anziano intellettuale Alexander, mentre festeggia il suo compleanno con i suoi cari, apprende dalla televisione l’imminenza di una spaventosa catastrofe. Reagisce ripetendo il Pater noster e offrendo al Signore ciò che ha di più caro affinché tutto ritorni come prima. Così darà fuoco alla sua casa, rinuncerà al figlioletto, si voterà al silenzio accettando di essere considerato come un folle.

L’etica del sacrificio è un’etica radicale, di cui quello della croce rappresenta un vertice tale da parlare non solo a chi crede, ma anche a quanti ritengono di non credere. Il grande Hegel, filosofo per tanti versi insuperato, ha coniato la suggestiva espressione «Venerdì santo speculativo». La pandemia ci ha procurato non pochi sacrifici, qualcuno li ha considerati alla stregua di fastidiosi contrattempi, ma, se leggiamo in profondità, soprattutto il lockdown, dobbiamo rilevare che ci ha posto di fronte a noi stessi, alla nostra capacità di sopportare la solitudine e di custodire le relazioni autentiche, alla distanza e alla morte di persone care e amate, di cui non si sono neppure potute celebrare le esequie. Il senso autentico del sacrificio e di questi sacrifici sta nella scelta, ovvero nella capacità di far nostre le necessità che la storia ci impone, accogliendole nella nostra libertà.

Così sarà anche per la guerra. L’alternativa posta da Mario Draghi non deve trovarci succubi di un destino ineluttabile, ma farci riflettere su cosa veramente desideriamo: il benessere immediato o la pace. La seconda chiede a ciascuno la rinunzia a comodità cui forse siamo troppo assuefatti, ma che potrà essere feconda, se vissuta alla luce della Pasqua, che si conclude con la resurrezione e non lascia alla morte l’ultima parola. E questo perché il sacrifico non è un fine, ma un mezzo, spesso obbligato, per il raggiungimento di una non effimera felicità personale e comunitaria.

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