Torna l’oratorio dopo tanta vita a distanza
giovedì 10 giugno 2021

Torna (non più scontato) un passaggio del testimone educativo Chiudono le scuole, aprono gli oratori. È come il succedersi delle stagioni: basta prendere il calendario, e non si sbaglia. Nel giro di un giorno il testimone educativo passa dalle aule ai campanili, da maestre e professori a sacerdoti, suore e animatori. Un automatismo immutabile e perfetto.

D’accordo, non proprio ovunque e non sempre è stato così: ma la vistosa e drammatica eccezione dello scorso anno, con gli oratori costretti a far girare il motore al minimo (e in molti casi a scegliere di non accenderlo proprio), che offre motivazioni nuove a un’impresa formativa e sociale capace di coinvolgere ogni anno – secondo le stime più accreditate – circa due milioni tra bambini, adolescenti e ragazzi in 8mila oratori. Usciti da un anno e mezzo di Vad ( Vita a distanza), i nostri figli e nipoti tra i sette e i vent’anni hanno varcato ieri la soglia di oratori troppo a lungo deserti con il probabile intento di farsi una scorpacciata di socialità e svago, poche priorità in testa ma ben chiare, tipo 'facciamo le squadre', come recita la canzone-guida degli Oratori milanesi. Una schiera di giovanissimi pronti ad adeguarsi alle regole elementari che da don Bosco in qua fanno funzionare gli oratori come uno straordinario congegno umano nel quale ciascuno sa di essere importante e nessuno è di troppo.

E mai gli sarà sembrato tanto facile rispettarle, al confronto di quel che hanno accettato nei lunghi mesi del dentro-e-fuori pandemico. Ma stavolta nel ritrovarsi di questo rito che coinvolge parrocchie e famiglie ben al di là dei consueti confini ecclesiali c’è dell’altro, e i primi a intuirlo sono proprio i protagonisti dell’esperienza anche dentro l’apparente ripetersi di consuetudini sempre uguali. Proprio il continente ignoto che hanno attraversato (e noi adulti con loro) rende questa prima evasione organizzata di massa dall’inizio dell’emergenza lo spazio ideale nel quale far sedimentare pressioni e sciogliere ansie che il multiforme popolo delle cittadelle oratoriane ha variamente sofferto. C’è come un taciuto bisogno di liberarsi di queste scorie che intossicano la vita per riappropriarsi a pieno cuore di ciò che la nutre. Nel campetto dell’oratorio si insegue non solo un pallone, ma il tempo perduto, che ora torna a colmarsi di speranze e progetti, restituendo senso anche alla fatica che si è sopportata nell’attesa del meglio.

Un giorno così doveva certamente arrivare, e a quell’età la sua attesa ha assunto l’energia di una certezza incrollabile. Ora che si torna insieme per riprendere il filo della propria esistenza, nella variegata compagnia garantita dalle stratificazioni generazionali così caratteristiche degli oratori, è inevitabile che i mesi del buio e delle inquietudini assumano una consistenza tutta diversa. È condividendo tempo, giochi e riflessioni che milioni di giovani di questo Paese stanno cominciando a «non sprecare» il tempo della pandemia – per dirla col Papa –, a dargli cioè il peso e il rilievo di un’esperienza destinata a segnare la vita ma che non deve tenerla in ostaggio né può essere liquidata come un fastidio da rimuovere.

Sotto i campanili delle nostre città si può realizzare in queste settimane un’opera che è certamente educativa ma oggi anche pienamente civile: con la chiave del divertimento organizzato, della relazione finalmente aperta e diretta, della convivenza tra diversi per età e origine, si può comprendere cosa ci ha insegnato la stagione della pandemia, cos’è possibile imparare dal viaggio tra le insidie tese da un nemico indomabile, capace persino di rendere incerto ciò che davamo per acquisito. Ora tutto comincia a essere chiaro: nulla è scontato, la vita è un dono, non ogni impresa ci è possibile, è meglio affidarsi agli altri che contare solo su se stessi, tutti si è preziosi per qualcuno, c’è sempre chi ha bisogno di noi. Non è un programma da poco, ma gli oratori ci sono per imprese come questa.

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