mercoledì 17 dicembre 2014
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​«Padre, perdonatemi se non dico ciò che sento./ Voi che capite le anime,/ traducetemi questo silenzio./ Con le parole e con l’esempio,/ voi mi avete insegnato a essere tanto più breve nel parlare/ quanto più grande è l’affetto». È il primo atto del Divino impaziente, il dramma poetico dello scrittore José María Pemán, in cui san Francesco Saverio, che ne è il protagonista, chiede a Ignazio di Loyola la sua benedizione prima di partire per le Indie. Ignazio nell’aprirgli la strada e nel prospettargli i pericoli in quella missione non è parco di consigli, e sono queste tra le pagine più alte del Divino impaziente: «La vita interiore vale più delle opere esterne. Non vi è azione che conti se non è riflesso dell’amore». Quest’opera è stata menzionata da papa Francesco come una di quelle che hanno lasciato una traccia nel suo spirito. È un colloquio tra padre e figlio. E non è difficile pensare che egli si sarà immedesimato in questo colloquio e riconosciuto nello spirito di questi consigli, lui che ha esercitato funzioni di superiore e direttore, che ha insegnato ai novizi, che è stato provinciale, rettore, professore, vescovo, cardinale e ora Successore di Pietro. Lui che è stato padre e allo stesso tempo figlio e fratello. Entrare in questa dimensione di filiale paternità significa quindi entrare nella dimensione dello sguardo fondante di tutta la sua azione, del suo essere, del suo governo, in una prospettiva che certamente è lontana anni luce dal mero paternalismo. La radice di questa visione è Dio stesso: «Non è una figura assente. È il padre che accompagna la crescita, il padre quotidiano che alimenta, il misericordioso che si affianca nei momenti in cui il Nemico usa quei suoi figli. È il padre che, se è il caso, dà a suo figlio ciò che chiede, ma comunque e sempre lo accarezza». Lo scrive ancora Bergoglio stesso in Nel cuore di ogni padre, pagine profetiche che risalgono a decenni fa ed erano destinate ai suoi confratelli ma che ora sono state ripubblicate e sorprendono per la loro immanente attualità: «La coscienza d’essere fondati sulla paterna misericordia del Signore, che ci rende figli, ci fonda come padri. Il fatto che sant’Ignazio abbia desiderato per noi che fossimo familiari con Dio, per me ha anche questo senso: il gesuita familiare con Dio è quello che può essere figlio, fratello e padre». Essere padri ha a che fare con l’essere adatti e aderenti alla vita, con la generatività, che è il contrario della sterilità. Essere padri è essere responsabilmente aperti alla vita, significa mettersi in gioco in prima persona. Un padre ama, anzitutto. E la paternità di papa Bergoglio non è retorica – lo vediamo – è esattamente quella di un padre di famiglia che è in stretta relazione con la realtà e il suo divenire, che accompagna e non pretende di intestarsi la vita di coloro che gli sono affidati. È quella di aiutare i processi, di saper attendere con pazienza, è libertà generativa di chi si percepisce come tramite di una storia, non il suo intestatario. Che comprende i processi in atto, vede ciò che, nascosto, germoglia. E «scorge praterie percorrendo cortili», dove anche le contraddizioni e i conflitti fanno parte di una storia feconda. «La guida del popolo fedele di Dio ci chiede a volte di rinunciare all’urgenza delle risposte e di ricordare che anche il silenzio è proprio del saggio. Di rinunciare all’attacco e alla difesa immediati, al piacere che ci dà essere il prete di moda, avere la parola à la page». Così i pastori sono padri e guide verso la realtà come tale «e non rischiano – afferma Bergoglio –, come quegli uomini che all’inizio promettono di guidare un gregge e finiscono con l’accarezzare gatti angora». Essere fecondi riguarda proprio il mistero della paternità nella fede. «Tuttavia – dice ancora – è la memoria a fondare radicalmente il cuore di un padre. Richiamare alla memoria c’invita a recuperare una storia di grazia che, data la nostra condizione di peccatori, è sempre fatta di grazie di misericordia». In questi giorni più volte nell’incontro con i fedeli il Papa li ha invitati a far memoria di alcune date, come quella della prima Comunione. Alla data del suo compleanno, che cade proprio oggi, Francesco ha perciò preferito ricordare domenica scorsa proprio quella del suo stesso battesimo ricevuto otto giorni dopo la nascita, nel giorno di Natale. Un aiuto a stupirsi della creazione «che è mirabile», ma ancor più a riconoscere, a lasciarsi sorprendere dall’operare della grazia, che «è più mirabile». Il custodire nella memoria il "compleanno" dei sacramenti ricevuti è la gratitudine personale a quel Tu che ci ha rigenerati e che solo può rendere «lieta e perenne la giovinezza».
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