giovedì 11 agosto 2011
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Gentile direttore,ho seguito con attenzione il dibattito sul suo giornale relativo al matrimonio di Anna Paola e Ricarda Concia. Come noto ho opinioni lontanissime da quelle espresse dal suo giornale: sono opinioni che tuttavia rispetto anche se su queste soggettive opinioni si pretende di limitare in modo cogente diritti di altri cittadini ormai riconosciuti da numerosi ordinamenti, tra cui quelli di tutti i nostri Paesi confinanti. E tuttavia ho notato con sgomento che, in una delle lettere da lei pubblicate, un suo lettore ha addirittura equiparato il matrimonio civile tra omosessuali alla pena di morte: per il primo come per la seconda, a giudizio del suo lettore, se altri Paesi ne sono provvisti non è detto che lo stesso debba accadere per l’Italia. È un ragionamento, mi lasci dire, molto debole. È debole perché i Paesi che hanno approvato leggi per riconoscere le unioni gay sono proprio quelli che non fanno ricorso alla pena di morte, al contrario: gli Stati più civili hanno approvato leggi sul matrimonio gay. L’Italia è invece nell’ottima compagnia delle peggiori dittature incluse quelle dove l’omosessualità è un crimine punibile, appunto, con la morte. Diciamo che in tema di coppie gay l’Olanda, la Svezia, la Germania e il Portogallo stanno da una parte; l’Iran, la Bielorussia, l’Uganda e la Corea del Nord da un’altra: mi dica lei in che gruppo si pone l’Italia. Ma l’argomento non è solo debole, è anche francamente ripugnante: mettere sullo stesso piano un rapporto d’amore e un omicidio dovrebbe far specie per primo a chi lo fa e al giornale che tale opinione pubblica senza spendere una riga per stigmatizzare un così vergognoso parallelo. Non potrebbe accadere in nessun giornale rispettabile di nessuna grande democrazia. L’omofobia si ciba di queste cose e chi se ne rende responsabile dovrebbe almeno rendersene conto. Cordiali saluti,

Ivan Scalfarotto, vicepresidente del Partito Democratico

Mi fa piacere che lei, gentile vicepresidente, affermi di rispettare le nostre libere e motivate opinioni anche a proposito del dibattito riaccesosi con la celebrazione in Germania dell’unione civile (Lebenspartnerschaft) della onorevole Paola Concia e della signora Ricarda Trautmann. Mi spiace, invece, e molto, che lei non si limiti a discutere civilmente e appassionatamente come è lecito, ma arrivi a definire «ripugnante» la lettera di un nostro lettore che ha ragionato sul fatto che nessuna legge merita di essere accolta in un Paese di salda civiltà giuridica per il solo fatto di essere adottata in un numero più o meno cospicuo di altri Paesi. Lei può trovare “forte” l’esempio fatto, il paragone con leggi straniere sulla pena capitale, ma non asserire che il 9 agosto scorso il signor De Rosa «ha messo sullo stesso piano un rapporto d’amore e un omicidio». La cosa è due volte falsa. Una prima – e dirimente – semplicemente perché non è vero che lo abbia fatto. Una seconda – e da politico attento lei lo sa bene – perché purtroppo nel mondo si viene ancora e sempre condannati a morte per molti e diversi motivi. Non solo per fatti di sangue o per omosessualità, come lei ricorda. Ma anche per fede religiosa e per le proprie opinioni. Il caso di Asia Bibi, in un’indifferenza vasta e davvero mortale anche da parte di qualche attivista dei cosiddetti “diritti civili” in altre faccende affaccendato, lo dimostra tristemente. Ritengo, insomma, che la sua forzatura – come tutte le iperboli polemiche – non aiuti un dibattito serio. E che sia viziata da quela stessa intolleranza per le opinioni altrui che dice di non sopportare.A proposito di opinioni, c’è infine un punto che mi sembra particolarmente importante e che la sua lettera, signor vicepresidente del Pd, finisce per far emergere con eloquenza. E cioè il rischio gravissimo che si corre con l’operazione tesa ad affermare una specifica aggravante omofobica. Ne ho già scritto a suo tempo, dopo il riconoscimento di incostituzionalità di quel progetto normativo da parte della Camera, ricordando che in Italia ci sono leggi sufficienti per punire adeguatamente ogni reale discriminazione e le violenze di tutti i tipi (fisiche e verbali). È concreta la tentazione di mettere il bavaglio e di impedire argomentazioni – amputandole, deformandole, addirittura brutalizzandole e magari denunciandole – da parte di chi non si adegua a certo “politicamente corretto” in tema di matrimonio o di adozione o del presunto diritto a una genitorialità artificiale di persone omosessuali. C’è in ballo, nella ritornante vicenda della legge sull’omofobia, anche la civile libertà d’opinione. E noi non cesseremo di ricordarlo a tutti, chiedendo a chi siede in Parlamento di riflettere e di vigilare perché non si arrivi mai a liberticidi errori normativi.
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