mercoledì 13 febbraio 2013
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Dio ha creato l’uomo. Dio si è fatto uomo. Al mondo c’è chi si accontenta di riempire il ventre e chi il portafogli. Poco. Troppo poco per un uomo. Le cose non portano né felicità né verità, eppure l’uomo di queste ha tanta sete. Vivere per accumulare si rivela una terribile fatica. Inutile e dannosa. Alla sera della vita, le cose ci volteranno le spalle ironiche e beffarde. In fondo non ci avevano mai promesso nulla. Altri invece sono inquieti, pensosi, incontentabili. E cercano, scavano, leggono, interrogano, trovano.
La Chiesa, esperta in umanità, ci chiede oggi di fare silenzio. Di mettere a tacere «l’orribile chiacchiera». Stare zitti per tentare di cogliere un sussurro, un fruscio, un soffio che attraversa i cieli e arriva fino a noi. «Parla, Signore, che il tuo servo ascolta», invoca il profeta. Come lui voglio pregare anch’io. Ho bisogno di ascoltare una parola che abbia il sapore dell’eternità. Che mi doni il gusto della libertà. Una voce che penetri nel mio animo. E nel tuo. Quanto si somigliano gli animi. Quali abissi. Che profondità. La Parola di Dio, come acqua, riesce a infiltrarsi negli anfratti più reconditi. Là dove più veri siamo, dove la menzogna tace e il mistero è grande. Non bisogna bistrattare gli uomini. A volte, è vero, si fanno cattivi. Inutilmente. Dolorosamente. Stupidamente. La ferita del peccato delle origini li ha resi fragili, egocentrici, egoisti. Altre volte invece riescono a somigliare a Dio. Belli. Tanto da stupire gli angeli. Ma la parola degli uomini, anche quando è nobile, vera, rimane pur sempre piccola. Davanti al dolore, al male, alle ingiustizie, alla morte si imbarazza, si inceppa… e tace. Si fa muta, lasciando spazio a qualcosa cui spesso non sappiamo dare un nome.
La Chiesa ci invita oggi ad astenerci dal mangiare. Per fare spazio allo Spirito che passa e ci rinnova; ci rafforza e ci consola. Non mangiare per meglio apprezzare il pane e spezzarlo poi con chi ha fame. Infine, con gesto audace, sparge sul nostro capo un pizzico di cenere. Per ricordarci che, tratti dalla terra, alla terra faremo ritorno. Perché non dimentichiamo i doni ricevuti. Perché i mille miracoli in cui la nostra storia è immersa non restino inosservati. La Chiesa vuole ricordarci oggi che tutto passa. Anche noi stessi e coloro ai quali abbiamo dato vita. E allora le domande cui tante volte cerco di sottrarmi ritornano a farsi sentire prepotenti: «Chi sono? Perché vivo? C’è ancora vita dopo la morte?». Mi viene in aiuto il Catechismo imparato da bambino: «Siamo nati per conoscere, amare e servire Dio in questa vita e poi goderlo nell’eternità». Ecco qui, con poche parole semplici, la risposta alle mie domande complicate. Ecco la verità che come un faro acceso nella notte indica alla nave il porto. Eccolo qui il traguardo verso cui camminare senza pigrizie né tentennamenti.
La meta ultima è la salvezza dell’anima e la contemplazione del volto di Dio. Per l’eternità. Passando di stupore in stupore. Di bellezza in bellezza. Di gloria in gloria. Corriamo, dunque, verso la più vicina chiesa. Accogliamo anche noi con gioia quella manciata di polvere che ci umilia e ci fa grandi. Con tutte le nostre forze rifiutiamoci di inchinarci davanti agli idoli allettanti e vuoti che il mondo ci propone. Prostriamoci, invece, davanti al Re del cielo e della terra. Per essere noi stessi. Per diventare uomini. Per diventare santi. Accogliamo con umiltà il dono. Umiltà. Papa Benedetto ci ha appena dato a riguardo una lezione magistrale destinata a rimanere nella storia. Uomo, sei grande. Più di quanto credi. Pensa, per te Gesù Cristo è morto. Riappropriati della tua verità. Sei erede, non estraneo. Figlio, non impostore. Accogli semplicemente il dono e… sii riconoscente.
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