venerdì 1 giugno 2012
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​Al frastuono mediatico che avvolge in questi giorni il Papa e il Vaticano, un altro frastuono, di tutt’altro spessore, si sovrappone da oggi. Un frastuono vitale e positivo, fatto di messaggi ben distinti e distinguibili, che ai confusi vapori delle analisi spuntate e dei retroscena da zelig oppone la concretezza di un appuntamento per riflettere, pregare, fare festa insieme. Con il vigore, il rigore e la bellezza di un "fatto" che è ecclesiale e civile. E non è in alcun modo uno dei tanti.È il frastuono vitale del VII Incontro mondiale delle famiglie e di Milano, che dal pomeriggio di oggi accoglieranno Benedetto XVI. Non un raduno muscolare, di quelli che puntano tutto sui numeri (che pure saranno grandi), ma un convenire per raccontarsi e per dire, per testimoniare una realtà che si forma e si nutre di tante realtà, diverse e, insieme, uniche, a formare un coro in cui i solisti non si confondono, ma si fondono.La prima realtà è quella dell’incontro mondiale delle famiglie, occasione per il lungo weekend che il Papa trascorrerà a Milano, e che si appresta a vivere in questa sua settima edizione qualcosa di inedito. Come per la Giornata mondiale della Gioventù di Madrid, lo scorso agosto, anche questo appuntamento internazionale entra in una dimensione matura, pastoralmente compiuta, che si proietta ben al di là del pur imponente momento celebrativo. L’annuncio dell’avvio di quello che era il "sogno" di Giovanni Paolo II, quel Centro internazionale della Famiglia a Nazaret che Papa Wojtyla annunciò a Rio de Janeiro nel 1997, è, in questo senso, qualcosa che va molto al di là del suo immenso valore simbolico: è un "dare casa" a tutte le famiglie del mondo, stendere un ombrello su di esse in un tempo di crisi angosciante, ribadirne una centralità che in tutto il mondo è minacciata in nome di un "progresso" culturale che sembra divaricarsi sempre più dalla ragione di una civiltà antropologica – attenzione: non confessionale – di cui il Papa sembra essere l’ultimo grande difensore, capace di parlare al cuore e all’intelligenza di cattolici, laici e altrimenti credenti.C’è poi la realtà di Milano, che ri-accoglie un Pontefice ventotto anni dopo la visita di Giovanni Paolo II. Una Milano lontana, e parecchio, da quella "da bere" degli anni Ottanta del secolo scorso, chiamata forse più di altre realtà a un confronto col mondo che cambia. Attrito durissimo, che scricchiola, e stride, e geme. Ma che ancora una volta trova nel suo cuore cristiano – quello semplice, spontaneo, coerente delle parrocchie e delle associazioni – il nerbo capace di animare e rianimare la società civile. Per occasioni che a qualcuno possono apparire casuali ma che, lette a posteriori, casuali non sono mai state e oggi non appaiono più ad alcuno, su questa città cadde tre anni fa la scelta di ospitare l’Incontro del 2012. Una responsabilità che Milano s’è assunta con coraggio e, soprattutto, consapevole che ospitare non significa solo "offrire un tetto", ma farsi carico di tutto quello che offrire un tetto comporta. E cioè animare, accompagnare, guidare anche, impedire in ogni modo di lasciarsi passar sopra l’evento, ma diventarne – domani ancor più di ieri, nella preparazione, e di oggi, nella celebrazione – pienamente responsabile.
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