Eni Aluko è una calciatrice professionista di origine nigeriana, naturalizzata inglese, stabilmente nel giro della nazionale di Sua Maestà britannica. Più o meno un anno e mezzo fa, Eni è stata ingaggiata dalla squadra femminile della Juventus, si è trasferita a Torino e con i colori bianconeri ha vinto alcuni trofei. Eni non è solo un’ottima calciatrice, ha studiato giurisprudenza e scrive stabilmente sul 'Guardian', a testimonianza di una vitalità tutta al servizio dei vari talenti che ha ricevuto in dono alla nascita. Sembra una delle tante, bellissime, storie di vita e cultura sportiva. Ma non è così.
È di questi giorni la notizia diffusa dalla stessa Eni: ha deciso di tornare in Inghilterra. I motivi sono diversi e non investono solo la sfera professionale, quelli forse più determinanti, e drammatici, riguardano il suo rapporto con il nostro Paese. Eni lascia Torino e la Juventus perché, nel corso di questo anno e mezzo vissuto in Italia, sono stati diversi gli episodi di discriminazione che ha subito. Dentro negozi, in aeroporto, le sue dichiarazioni testimoniano quante volte sia stata trattata da diversa per via del colore della pelle, perché una persona che ha un colore della pelle diverso dal nostro, specialmente se nero, dev’essere osservato in modo particolare, con cautela, perché loro molto più di noi si rendono protagonisti di reati, rubano… Il suo racconto non è fatto di gesti macroscopici, ma di piccoli dettagli, sfumature, quell’attenzione malevola che si deve a chi consideriamo, senza nessun motivo concreto, un pericolo a prescindere.
Eni ha la fortuna di essere una calciatrice della Juventus, quindi di fronte a questi piccoli grandi segni di discriminazione ha con una certa facilità annullato il pregiudizio che si era abbattuto su di lei, le è bastato mostrare lo stemma della squadra per trasformare la discriminazione in un silenzio imbarazzato. Ma, e qui è la sua grandezza, questo non l’ha fatta sentire al riparo, perché non tutte le persone di colore hanno stemmi o appartenenze che possono permettere loro di zittire il pregiudizio, perché lei, in fondo, rispetto ai tanti ragazzi e ragazze che vivono nel nostro Paese è una privilegiata.
Per questo ha deciso di tornare in Inghilterra, malgrado la sua scelta sia discutibile dal punto di vista sportivo e professionale. Duole dirlo, ma al suo posto in tanti, quasi tutti, avrebbero fatto la stessa cosa. Vivere in un Paese schizofrenico, che ti discrimina in un negozio e ti idolatra quando sei dentro un campo di gioco, non deve essere né facile né bello.
Quindi, a breve, Eni lascerà il nostro Paese, la Juventus non beneficerà più del suo talento calcistico. Il suo congedo è come una crepa, di quelle piccolissime, all’inizio appena visibili. Una crepa che rischia di ingigantirsi, sino a diventare insanabile. C’è solo un modo per arrestare questo scempio, ed è affermare in ogni luogo che storie come quella di Eni non possono più avere residenza in un Paese occidentale, nel nostro Paese. Il suo esempio dovrebbe far riflettere anche tutti gli sportivi di colore che lavorano in Italia. Calciatori e cestisti, atleti di ogni disciplina, di fronte a gesti di discriminazione dovrebbero avere il suo coraggio e dire basta. Basta. Arrivederci e grazie. Al vostro gioco, almeno io, non giocherò più.