venerdì 6 febbraio 2015
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Caro direttore,per il messaggio in occasione della XXIII Giornata Mondiale del Malato, papa Francesco prende in prestito da Giobbe una plastica immagine per indicare l’aiuto, il soccorso al bisognoso: «Io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo» e così riassume il ruolo di ogni operatore, dei familiari, della politica. Si diventa comunità quando ci si fa carico delle debolezze che si generano nella società. «La dimensione di servizio ai bisognosi di questo uomo giusto (Giobbe) che gode di una certa autorità e ha un posto di riguardo tra gli anziani della città», non evoca forse il ruolo delle istituzioni? E, infatti, gli fa eco il presidente Mattarella, quando nel discorso d’insediamento alla più alta carica dello Stato, evoca «i volti della Repubblica, i volti preoccupati degli anziani soli e in difficoltà, il volto di chi soffre, dei malati e delle loro famiglie, che portano sulle spalle carichi pesanti». «Il nostro mondo dimentica il valore speciale del tempo speso accanto al letto del malato», dice il Papa. E il Presidente ricorda «il volto di chi dona con generosità il proprio tempo agli altri». In questo duetto di sapientia cordis è sintetizzato a mio avviso un anelito, non solo spirituale ma civile, a rendere il popolo sicuro e solidale, in una parola, davvero comunità. Di valori, di intenti. «È relativamente facile accudire una persona per qualche giorno, ma è difficile accudire una persona per mesi o addirittura per anni, anche quando essa non è più in grado di ringraziare»: è impressionante questa affermazione del Papa che dice di una responsabilità che non può delegare chi vuole essere pienamente uomo e cittadino. In parole così gli operatori nel mondo della sanità possono trovare un punto di appoggio per il loro lavoro, indipendentemente dal loro credo religioso. In una stagione di crisi culturale Francesco indica l’unificazione, rispetto al servizio all’ammalato, dei diversi atteggiamenti di cui si è capaci: partecipazione, vicinanza, cura, impiego delle tecniche più opportune. Occhi e piedi, però, siamo noi tutti: non scarichiamo impegno e responsabilità solo sugli 'addetti ai lavori'. A loro si chiede la migliore qualificazione e attitudine per esercitare una professione tra le più nobili e delicate di servizio alla dignità della persona prima ancora che alla cura. Tuttavia, non ci nascondiamo che nel loro lavoro di caregiver  a volte insorgono situazioni anche di grave disagio, che possono ridurre l’efficacia stessa degli interventi di supporto a favore dell’ammalato. Attraverso la formazione degli operatori e l’organizzazione dei servizi si devono ridurre le difficoltà umane che molte famiglie affrontano, anche attraverso la messa in opera di interventi mirati. Mi vergogno se penso che abbiamo perfino approvato una legge per indicare quali debbano essere gli atteggiamenti cortesi e tempestivi degli impiegati pubblici verso i cittadini-utenti! Equità, accessi facilitati, semplificazione e trasparenza delle procedure, eliminazione delle code: quanto c’è da fare per rendere amico il volto della Repubblica, che il presidente Mattarella dice essere «quello che si presenta nella vita di tutti i giorni: l’ospedale, il municipio, la scuola, il tribunale, il museo...». I grandi elettori, che hanno molto applaudito il puntuale riferimento del Presidente a rendere vissuta la Costituzione – col «garantire i diritti dei malati, rimuovere ogni barriera che limiti i diritti delle persone con disabilità, sostenere la famiglia» – hanno ruolo, strumenti e responsabilità per dare seguito.  *Presidente Istituto superiore di studi sanitari 'G. Cannarella'
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