Non infierite sui figli fragili
sabato 18 gennaio 2020

La piazza di Bibbiano è simbolo delle contraddizioni e dei vuoti di memoria della nostra politica nei confronti dei bambini più fragili. Dopo lunghi anni di colpevole silenzio, mentre il nostro sistema di protezione dei minori fuori famiglia mostrava segni di cedimento nella sostanziale indifferenza di partiti e istituzioni, ora sembra che nessuno voglia rinunciare a discuterne con foga pari all’inefficacia degli argomenti. Anzi, tutti s’affannano a brandire quell’inchiesta come clava per assestare fendenti elettorali in vista del voto in Emilia Romagna del prossimo 26 gennaio. Il paradossale braccio di ferro tra Lega e Sardine per tenere proprio nella piazza di Bibbiano uno degli ultimi appuntamenti elettorali è solo l’ultima coda del caso. Eppure tutti i partiti, nessuno escluso, dovrebbero arrossire di fronte al sostanziale disinteresse mostrato nell’ultimo ventennio nei confronti di un problema forse piccolo nei numeri, ma certo enorme nel rilievo simbolico e nelle ripercussioni sul futuro del Paese. Non c’è stata legislatura dal 2001 a oggi che non abbia messo in campo la sua brava commissione d’inchiesta parlamentare sul problema dei minori e sull’esigenza di riformare la legge che regola adozioni e affidi, quella "184" che risale ormai a 36 anni fa, quando la società, le amministrazioni locali e, soprattutto, le famiglie erano di tempra più solida e forte. Cos’hanno prodotto le otto commissioni d’inchiesta negli ultimi 17 anni in cui centrodestra e centrosinistra si sono avvicendati nel governo del Paese? Quasi nulla, in concreto.

La legge del 1984 è ancora lì, con tutti i limiti di un’età ormai veneranda e la sua impossibilità di rispondere alle nuove richieste della società. Come rimangono ben saldi altri reperti di archeologia giudiziaria, per esempio l’art. 403 del Codice civile – anno 1941 – che permette tra l’altro a un assistente sociale, in modo del tutto discrezionale e senza consultarsi con nessuno, di intervenire e di allontanare un minore dalla sua famiglia sulla base di una presunzione di pericolo. Ma potremmo anche parlare dell’assenza di un registro nazionale dei minori fuori famiglia, dell’impossibilità da parte dei genitori a cui viene allontanato un figlio di avere un contraddittorio paritetico prima dell’avvio del procedimento; del fatto che l’utilizzo delle linee guida per l’ascolto dei minori coinvolti in questi casi sia del tutto facoltativo, che l’operato delle cooperative di servizi sociali a cui i Comuni sotto i 15mila abitanti possono delegare le funzioni, avvenga di fatto senza verifiche di merito. E così via. Un lunghissimo elenco di incongruenze e di vuoti a cui quella politica che ora s’accapiglia per il caso Bibbiano, non ha saputo porre rimedio.

Ci sono dentro tutti, Pd, Lega, M5s, Forza Italia. E tutti dovrebbero recitare il mea culpa anche per lo stato di abbandono in cui hanno lasciato tribunali e procure minorili, dove approdano troppo spesso anche magistrati senza preparazione specifica. Non solo non lo fanno, ma strumentalizzano la sofferenza impotente di tante famiglie già disgregate per lanciarsi accuse reciproche che non fanno avanzare di un millimetro la riflessione sui problemi. Neanche il fatto che le vittime autentiche di questi drammi familiari siano bambini e ragazzi sembra riuscire a riportare lo scontro sul piano dei contenuti invece che su quello dei decibel. Anche ora, che dovrebbe apparire chiaro a tutti come il caso Bibbiano sia solo la punta di un iceberg di cui ignoriamo ancora le dimensioni reali, l’emergenza minori non riesce ad elevarsi dal livello dello scontro tra fazioni e non viene percepita come questione grave, gravissima, da affrontare con il concorso di tutti.

Così anche le riforme avviate sull’onda del clamore suscitato dall’inchiesta della Val d’Enza, rischiano di apparire gravate da troppi appesantimenti demagogici, dall’ansia di rivoluzionare l’esistente non per migliorarlo e purificarlo da aspetti desueti o dannosi, ma solo dalla volontà di infliggere all’avversario politico colpi memorabili e possibilmente distruttivi. Perciò il pericolo è gravissimo. Quando c’è in gioco il futuro dei bambini, soprattutto di quelli che hanno già subito i contraccolpi di una famiglia problematica, l’ideologia – in qualunque forma si manifesti – dovrebbe fare un passo indietro. È il rischio che si corre con la proposta di legge regionale del Piemonte di cui parliamo a pagina 6, ma anche con la riforma dell’affido e delle procedure di allontanamento dei minori presentata dai M5s. Può succedere così che finalità obiettivamente positive, come quelle indicate dalla giunta di centrodestra della Regione Piemonte, che punta a ridurre il numero dei bambini allontanati dalle famiglie d’origine, finiscano nel tritacarne delle polemiche con il risultato che il principio lodevole finisca per essere oscurato dagli aspetti problematici dell’impianto normativo – che indubbiamente ci sono – e dall’esiguità delle risorse messe in campo. I nostri bambini più sfortunati e i loro genitori, quasi sempre segnati da fragilità e dipendenze, meritano provvedimenti illuminati e costruiti con il concorso di tutti, magistrati, avvocati, psicologi, esperti di infanzia a vario titolo. Ma se il clima politico e le condizioni storiche rendono impossibile questa alleanza di uomini di buona volontà, giustamente preoccupati per la sorte dei loro figli più deboli, allora è meglio fermarsi. Ai minori non servono, né a livello regionale né a livello locale, riforme comunque sia, ma leggi migliori di quelle esistenti e apparati giudiziari e amministrativi in grado davvero di costruire, senza pretese ideologiche (e senza calcoli a difesa di interessi economici), il loro 'migliore interesse'. È davvero possibile oggi? Riflettiamoci, prima di infliggere ai bambini e ai ragazzi più fragili le conseguenze di una litigiosa miopia. Per una manciata di voti in più. Ne vale la pena?

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: