venerdì 26 novembre 2010
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La crisi che, tra alti e bassi, sta caratterizzando ormai da mesi il nostro Paese potrebbe essere utilizzata come un efficace esempio della "crisi delle ideologie". La contrapposizione politica non sembra avere più per oggetto gli opposti paradigmi che nel passato esigevano nitide scelte parlamentari (l’adesione al Patto atlantico, la nazionalizzazione dell’energia elettrica, l’abolizione della mezzadria, l’ingresso nell’Unione europea e via dicendo). Cuore del dibattito politico italiano di oggi è esclusivamente il permanere della leadership di Berlusconi: ma nessuno di quelli che vi partecipano è in grado di spiegare come l’eventuale uscita di scena del Cavaliere, rilevantissima sul piano mediatico, possa davvero modificare l’orientamento ideologico di fondo della politica italiana. Qualcuno potrebbe dire: è bene che le cose stiano così, perché le ideologie sono morte e dobbiamo rallegrarcene, perché sono false in se stesse e non di rado violente. La politica, liberatasi dal dibattito ideologico, dovrebbe consistere esclusivamente nell’individuazione collettiva e democratica delle persone più adatte al governo del Paese, all’interno della cornice istituzionale e valoriale della Costituzione. È per questo che nei simboli politico-elettorali è giusto che entrino i nomi dei leader dei diversi movimenti. È in questo senso, ritengono molti, che la trasformazione bipolare del sistema politico italiano, iniziata ormai da molti anni, andrebbe portata a compimento. Una simile radicale semplificazione del paradigma della politica ha il suo fascino, ma purtroppo è inadeguata. Non perché non sia importantissimo che il capo del governo, comunque lo si voglia individuare, non debba avere la massima visibilità e ottenere il massimo consenso democratico possibile, ma perché quella di essere adatti a governare un Paese non è riducibile a qualità caratteriale, mediatica o funzionale. Non basta essere un uomo buono, popolare o ammirato per saper governare una nave (per riprendere un celebre esempio amato anche dai giuristi romani).L’agire politico è un agire in cui la dimensione tecnica si salda con una dimensione valoriale e progettuale, cioè, in una sola parola, con una dimensione ideologica. Le ideologie politiche vanno tenute a freno e combattute, quando divengono soffocanti e prepotenti; ma vanno rispettate quando esercitano la loro funzione, quando cioè per loro tramite si chiarificano i diversi possibili modelli di sviluppo sociale e civile, tra i quali i cittadini sono chiamati a scegliere. Ecco perché vedo con preoccupazione la de-ideologicizzazione delle diverse proposte di aggregazione politica che oggi si contendono il campo e che appaiono caratterizzate prioritariamente, se non esclusivamente, da un palese ed esclusivo atteggiamento anti-berlusconiano (non bastano infatti a dare spessore politico al dibattito odierno gli appelli alla promozione dell’economia, al rispetto della legalità, alla difesa dei valori costituzionali, perché si tratta di appelli banali e quindi condivisibili da tutti). È ovvio che si possa teorizzare l’urgenza di individuare altre e diverse personalità adatte a governare il Paese al posto dell’attuale presidente del Consiglio, purché questo impegno corrisponda a progetti politici precisi e concreti e non semplicemente al desiderio di vedere comunque un nuovo volto a Palazzo Chigi. I temi politici reali dell’Italia di oggi sono concretissimi e, come tutti i temi autenticamente politici, non uniscono ma dividono: come bilanciare unità nazionale e decentramento federale, che tipo di solidarietà sociale possiamo permetterci verso i più deboli, a quale paradigma di Unione europea vogliamo portare il nostro contributo, quale sistema tributario intendiamo promuovere, come dobbiamo muoverci nello scenario delle missioni all’estero dei nostri soldati, quale equilibrio vogliamo istituire tra il potere giudiziario da una parte e quello legislativo ed esecutivo dall’altra... Più cresce il dibattito sull’uomo Berlusconi più sembra che si stemperi il dibattito su tutti questi temi, che sono gli unici che dovrebbero realmente preoccuparci. Torniamo a riflettere sulle cose, senza aver paura dei loro risvolti ideologici, e a creare aggregazione e consenso sulle idee, prima ancora che sui singoli personaggi che dovrebbero attuarle. Nella buona politica, le idee vengono prima e le persone vengono dopo.
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