giovedì 9 settembre 2010
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«Diritti violati», «Costituzione ferita», addirittura «democrazia in pericolo» per un «disegno eversivo». A leggere alcuni dei commenti al recesso dal contratto dei metalmeccanici, l’Italia sembrerebbe riprecipitata ai tempi dell’autunno caldo. O forse ancora più indietro: alla cancellazione delle libertà sindacali durante il fascismo. Una drammatizzazione ingiustificata, con parole potenzialmente assai pericolose, che è assolutamente necessario tornare a misurare.La violenta e inaccettabile contestazione al segretario della Cisl, infatti, dimostra che siamo già abbondantemente oltre il confine del confronto democratico, della protesta legittima. E che nessuno – sia esso un sindacalista, un manager o un intellettuale, qualunque siano le ragioni di cui è portatore – può permettersi di esasperare ulteriormente la situazione sociale, piagata dalla crisi economica. Il Paese porta ancora le cicatrici dolorose, incancellabili, di stagioni recenti nelle quali uomini del dialogo hanno pagato con la vita il coraggio delle riforme. E ai cittadini, sgomenti, è toccato a posteriori valutare le assonanze tra certi slogan, le analisi allarmistiche e il linguaggio dei documenti di rivendicazione. Le parole pesano. Possono diventare petardi, sassi e altro ancora. Nello scontro di idee, di posizioni legittime, prima ancora di moderare i toni, occorre assolutamente mantenere le questioni nella loro esatta proporzione, senza forzature.E allora forse è opportuno chiarire l’esatta portata di quanto è accaduto nel settore metalmeccanico. Dicendo in premessa che per una tuta blu oggi non cambia nulla sul piano pratico. La Federmeccanica ha annunciato la volontà, a partire dal 2012, di recedere da un contratto nazionale – quello firmato nel 2008 da tutti i sindacati – che è stato già superato da un altro accordo, stretto nell’ottobre del 2009 senza la firma della Fiom-Cgil. A sua volta, quest’ultimo aveva recepito l’impianto dell’intesa precedente e aggiunto aumenti salariali. Cominciando però – questa la peculiarità – a prevedere la possibilità di derogare dalle norme generali, in alcuni casi specifici e previa contrattazione fra le parti sociali. E questo seguendo le linee generali dell’intesa interconfederale – firmata a gennaio 2009 da governo, associazioni datoriali e sindacati a eccezione della Cgil – per riformare la struttura della contrattazione. In sostanza, il caso della Fiat di Pomigliano e le successive forzature "targate" Sergio Marchionne hanno solo accelerato un processo di revisione dei contratti già scritto nell’intesa di un anno e mezzo fa. E che ha poi prodotto una serie di cambiamenti in diversi contratti nazionali. Firmati anche dalla Cgil, senza che ciò abbia significato fare strame dei diritti dei lavoratori.Ridotta all’essenziale, infatti, la questione è una sola: il contratto nazionale deve restare una gabbia rigida di norme inderogabili uguali per tutti i lavoratori di un settore, oppure va dato ampio spazio alla contrattazione aziendale o di comparto per meglio contemperare esigenze dell’impresa e interessi dei lavoratori? La stragrande maggioranza delle parti sociali hanno già dato la risposta. Hanno scelto – imprese e sindacati – di affrontare le sfide della competizione globale salvando il meglio della nostra tradizione di tutela – la cornice essenziale di un contratto nazionale "leggero" – scrollandosi però di dosso rigidità eccessive e contrapposizioni pregiudiziali, per cercare in ogni singola situazione il compromesso più alto, l’adattamento migliore, l’organizzazione più produttiva e redditizia, la costruzione di una prospettiva partecipativa. È quel che proveranno a fare anche i metalmeccanici di Cisl, Uil, Ugl e Fismic assieme a Federmeccanica da qui al 2012 con un nuovo contratto. Certo è un crinale stretto, non esente da rischi pure per la condizione dei dipendenti. Ma solo lo sforzo di camminare su questo crinale – avendo chiara la rotta e i principi guida – può garantire il futuro dei lavoratori. Non la rivendicazione di diritti astratti, non una norma contrattuale «inderogabile», non il sottrarsi al negoziato.
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