venerdì 14 novembre 2008
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La divisione sindacale – che finora si era mantenuta, con poche eccezioni, al livello dello scontro magari aspro tra gruppi dirigenti delle confederazioni – viene portata, con la decisione della Cgil di proclamare da sola uno sciopero generale, anche tra i lavoratori. Questo genere di divisione si era già registrato in alcune categorie: a lungo tra i metalmeccanici, nelle ultime settimane pure tra gli statali. Ma era da molto tempo, dalle manifestazioni indette da Sergio Cofferati contro la legge Biagi, che non si arrivava a una spaccatura verticale e generalizzata. All’origine di questa situazione – particolarmente preoccupante perché coincide con una fase di crisi economica che tutti prevedono sarà lunga e difficile e che quindi richiederebbe a maggior ragione uno sforzo di tutela unitaria dell’occupazione e dei redditi in pericolo – c’è la difficoltà della Cgil a gestire e concludere le trattative con un accordo. Dopo l’illusione coltivata da Guglielmo Epifani di sfruttare un presunto asse privilegiato col "governo amico" di centrosinistra, ora prevale la convinzione, o l’illusione, eguale e contraria, di trascinare i lavoratori in una lotta senza quartiere contro il "governo nemico". Le altre confederazioni, che ritengono principio fondamentale dell’autonomia sindacale la disponibilità a trattare con tutte le controparti giudicando solo nel merito le questioni aperte, hanno trovato momenti di dissenso e di consenso, ma sempre con la finalità di raggiungere intese. È questa profonda differenza di impostazione che scava da tempo un solco ormai diventato quasi incolmabile. La prospettiva di scioperi minoritari e di manifestazioni egemonizzate dai settori più barricadieri – che inevitabilmente indicheranno nelle altre confederazioni il nemico o almeno un nemico – appare preoccupante per più ragioni.In passato, quando l’aspettativa era di un costante miglioramento della situazione economica, le spinte di categorie "avanguardistiche" o corporative venivano considerate con tolleranza anche dagli altri lavoratori, che pensavano che le "condizioni di miglior favore" ottenute da alcuni, prima o poi sarebbero state estese a tutti. Oggi, con l’economia in recessione e i conti pubblici allo stremo, tutti capiscono che se il settore pubblico, ad esempio, ottiene aumenti superiori a quelli dei dipendenti privati, questi ultimi saranno chiamati a pagarli attraverso la leva fiscale. C’è il rischio che la rottura tra lavoratori non si fermi alla pur grave dissidenza sindacale, ma arrivi a forme di contrapposizione sociale.Il ruolo civile fondamentale del movimento sindacale, e soprattutto di quello confederale, consiste nella sua capacità di contemperare le esigenze differenziate evitando fughe in avanti avventuristiche e cedimenti strutturali. Oggi quel ruolo, diventato più difficile per le condizioni generali, viene indebolito da una divisione soggettiva, che si somma alle differenze oggettive che la crisi tende ad aumentare.
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