domenica 5 giugno 2011
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Cresce la "primavera siciliana". E dà buoni frutti. Tante denunce contro il pizzo. Ben 150. E si conferma la netta severità della Confindustria isolana. Ben 30 gli imprenditori espulsi perché si sono rifiutati di denunciare il racket. Belle notizie ma anche tristi ricordi. In una, forse non casuale, coincidenza. «Caro estorsore...», cominciava così quasi vent’anni fa una "strana" (almeno per allora...) lettera pubblicata a pagamento sul Giornale di Sicilia. Era il 10 gennaio 1991. A scrivere era l’imprenditore Libero Grassi: «Volevo avvertire il nostro ignoto estorsore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere». Parole chiare, forti. Ma in solitudine. Così fu facile per Cosa nostra punire quel piccolo ma coraggioso imprenditore. Il 29 agosto il piombo dei killer mafiosi fermò la sua vita. Il giorno dopo sul Corriere della Sera comparve un’altra sua lettera nella quale denunciava come l’allora presidente provinciale degli industriali lo avesse accusato, proprio per quella prima denuncia, per aver «fatto troppo chiasso. Una "tamurriata", come si dice qui. E questo mi ha ferito». Ieri, invece, il presidente degli industriali siciliani, Ivan Lo Bello, non ha esitato a rendere noti i dati della nuova linea confindustriale, nata appena tre anni fa. Anche qui parole chiare: «Le espulsioni da noi sono inderogabili». Avvertendo poi che «il nostro obiettivo è espellere non chi paga il pizzo, ma chi non denuncia. Il nostro scopo infatti è di convincere chi paga il pizzo a denunciare». Un impegno preso nel settembre 2007, anche sotto la benefica pressione dei ragazzi di Addio Pizzo che nel maggio 2005 avevano invaso Palermo con migliaia di adesivi che recavano lo stesso secco messaggio: «Un popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità». Impegno e fatti concreti, dunque, e non solo parole di denuncia. Lo dimostra l’aumento degli imprenditori che dicono "no" al pizzo e la severità con la quale sono state decise le espulsioni. Scelte condivise e sostenute da Confindustria nazionale che le ha fatte proprie, indicandole, in una delibera di un anno fa, come obbligatorie per tutte le associazioni regionali. E come gli incontri, organizzati dalla vicepresidente Cristiana Coppola, che hanno visto riuniti in Campania, Calabria e Sicilia, imprenditori, sindacalisti, magistrati e rappresentanti del governo sul tema della legalità. Iniziative che fanno male alla criminalità organizzata. Che manda segnali inequivocabili come la scatola con un caricatore di pistola giunta all’inizio di dicembre nella sede nazionale di viale dell’Astronomia, indirizzata alla presidente Marcegaglia e al delegato per i rapporti con le istituzioni Antonello Montante, imprenditore siciliano tra i più impegnati nella lotta al racket. Ultimi colpi di coda, si spera, comunque preoccupanti. Ma il mondo delle imprese, quello dalla faccia e dai comportamenti puliti, va avanti. Non solo in Sicilia. Bella coincidenza, proprio ieri sono cominciati i lavori sui terreni confiscati alla ’ndrangheta a Isola Capo Rizzuto, nel Crotonese, dove presto nascerà una cooperativa giovanile che darà lavoro pulito e onesto. Si avvera la speranza di Libero Grassi, solitario apripista della legalità. «Spero solo che la mia denuncia abbia dimostrato ad altri imprenditori siciliani che ci si può ribellare». La storia gli sta dando ragione.
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