sabato 30 maggio 2015
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Alla fine la comunicazione della lista dei cosiddetti «impresentabili» è arrivata. All’antivigilia delle tanto attese elezioni regionali. «Impresentabili», cioè candidati a carico dei quali sono in corso procedimenti penali per una serie di reati relativi al fenomeno mafioso o al rapporto fra politica ed amministrazione. Una notifica che sollecita una serie di mixed feelings, sentimenti contrastanti che richiedono un giudizio, certo provvisorio e necessariamente articolato.Da un lato, infatti, l’assunzione di responsabilità da parte della politica e delle istituzioni rappresentative riguardo alle molteplici forme che il fenomeno della corruzione (e a maggior ragione quello della mafia) assume nel nostro Paese non è solo auspicabile, ma indispensabile. Solo attraverso meccanismi di questo tipo (come il codice di autoregolamentazione adottato dalla Commissione parlamentare anti-mafia, che è alla base dell’elenco reso noto ieri) è possibile evitare che tutto sia rimesso solo a pronunce di giudici penali e amministrativi. La scelta in favore di un procedimento politico e di soft law – vale a dire di un annuncio pubblico da parte della presidente della Commissione parlamentare antimafia, che non produce nessun altro effetto se non quello di stimolare il libero giudizio dei cittadini elettori, ai quali viene lasciata l’ultima parola – merita di per sé apprezzamento. Tuttavia le valutazioni positive finiscono qui. Se le intenzioni retrostanti al controllo sui «carichi giudiziari pendenti» dei candidati alle elezioni regionali e amministrative erano buone, il modo in cui il meccanismo è stato gestito appare piuttosto confuso, e presenta una serie di controindicazioni che rischiano di retroagire, gettando ombre, che il dibattito pubblico ha fatto subito emergere, sulla portata dell’operazione.Il regolare svolgimento del procedimento elettorale è un bene costituzionale di particolare rilievo, che si pone a saldatura fra alcuni dei più importanti diritti dei cittadini – quello di votare liberamente e quello di partecipare in condizioni di eguaglianza come candidati alle competizioni politiche democratiche – e il funzionamento delle istituzioni rappresentative, in questo caso a livello infrastatale. Qualsiasi interferenza in questi ambiti deve non solo essere sorretta da una ratio giustificativa forte (e l’esigenza della lotta antimafia e del contrasto alla corruzione sicuramente lo sono), ma deve anche svolgersi in forme e modi adeguati, che siano sorretti da una chiara base giuridica e siano proporzionali al fine perseguito, oltre che lesivi nella misura minore possibile dei diritti individuali e delle esigenze di funzionalità delle istituzioni stesse. Ma le comunicazioni rese dalla presidenza dell’Antimafia nei giorni scorsi non soddisfano questi standard.In primo luogo la base normativa per redigere e pubblicizzare una lista di candidati "impresentabili" appare piuttosto fragile: né la legge istitutiva della Commissione, né il Codice di autoregolamentazione attribuiscono alla Commissione questo potere. La prima si limita a incaricare la Commissione di monitorare lo sviluppo del rapporto fra mafia e politica, mentre il secondo prevede un catalogo di reati i cui autori (sia perché condannati, sia perché sottoposti a procedimento penale, magari con condanna non definitiva) non dovrebbero essere candidati dai partiti che hanno sottoscritto il codice. Né è chiaro come – con quali procedure, ad esempio a maggioranza semplice o qualificata, con voto palese o segreto, sulla base di quali dati, ecc. – la Commissione dovrebbe redigere un elenco di questo tipo, che incide in maniera sensibile sull’onorabilità dei candidati inclusi nella lista, oltre che sulla correttezza, quella che gli inglesi chiamano fairness, della competizione elettorale.In secondo luogo, il novero dei reati inclusi nell’elenco contenuto nel "Codice" è troppo eterogeneo: esso – fra l’altro – confonde i diversi fenomeni della corruzione (lato sensu intesa) e della lotta alla mafia, con un conseguente appiattimento che non giova alla chiarezza delle valutazioni: ad esempio, il primo tipo di fenomeni non include i reati di peculato, e al tempo stesso condotte meno gravi rischiano di essere appiattite sulla criminalità organizzata. Inoltre, una persona può essere inclusa nell’elenco anche se già assolta per un’accusa penale, ma con il procedimento in corso nei gradi successivi al primo. Il fare di tutt’erba un fascio è di scarso aiuto a un giudizio libero dell’elettore.Infine, le modalità dell’annuncio della lista degli impresentabili, proprio a conclusione della campagna elettorale e quasi alle soglie delle 24 ore di silenzio previste dalla legge, lasciano molto a desiderare. Contrariamente a quanto ha affermato la presidente dell’Antimafia, Rosy Bindi, un intervento a questo punto della campagna elettorale è particolarmente inopportuno, anche perché i tempi disponibili per il dibattito (sulla idoneità della lista degli "impresentabili" e sugli errori in essa eventualmente contenuti) sono ridotti al lumicino e il tempo della discussione sta per cedere il passo a quello della decisione.Buone intenzioni, ma forme del tutto inadeguate, dunque. Sulla lotta alla purificazione della politica dalla corruzione e dai legami mafiosi la battaglia dovrà continuare. Ma sul fatto che quella di ieri sia una tappa positiva è quantomeno lecito esprimere dubbi.
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