martedì 16 febbraio 2010
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Nella terra delle grandi emergenze chiacchierate, resta silenziata la più grande: quella di un Paese che, ovunque, frana; quella di una comunità civile ancora oggi incapace di mettere in atto, se non una vera propria difesa, almeno un’ordinaria manutenzione del suolo nazionale. Seria, come quella che Guido Bertolaso – gliene va dato atto oggi che si trova preso nella bufera più furiosa – invoca inascoltato da anni. Ieri Giampilieri e Favara, oggi San Fratello. Per ogni tragedia, vissuta o semplicemente sfiorata, il prevedibile accularsi di polemiche che la pioggia porterà via.Noi di Avvenire ce ne siamo occupati da tempo e per tempo, anche raccogliendo il grido di dolore dei vescovi per funerali «tristemente annunciati». Perché il problema del dissesto idrogeologico è nell’agenda di tutti i governi italiani dal dopoguerra a oggi. E la nuova frana, un’autentica spada di Damocle sul Messinese, ricorda un altro gigantesco smottamento, quello di Agrigento... Era il 1966. In mezzo secolo, poco o nulla è cambiato. Secondo l’Agenzia europea per l’ambiente, negli ultimi anni si è assistito a un brusco aumento di catastrofi naturali che rischia di proseguire in futuro. Nel mirino ci sono in particolar modo Toscana, Emilia Romagna e praticamente tutto il Mezzogiorno. Il 38% delle vittime delle inondazioni e delle alluvioni in Europa sono italiane e i disastri "naturali" spazzano via ogni anno lo 0,2% del nostro Pil.È una contabilità macabra e indigesta, che solitamente preferiamo ignorare. E quando proprio non possiamo girarci dall’altra parte – perché abbiamo approvato noi stessi le leggi che ci vincolano, nelle autorizzazioni edilizie, ai più elementari criteri di prevenzione – provvediamo ad aggirare l’ostacolo. Se si è arrivati al punto di progettare una società per azioni per gestire le emergenze nazionali, probabilmente è anche perché continua a franare anche il senso dello Stato inteso come corpus di diritto e di relazioni istituzionali che regolano la nostra vita.Il dissesto cui assistiamo impotenti è la conseguenza di decenni di espansione urbanistica incontrollata, di cementificazione selvaggia e di artificializzazione dei corsi d’acqua. Governo integrato delle risorse di bacino, uso sostenibile delle risorse, solidarietà territoriale (e intergenerazionale) sono criteri acquisiti nella legislazione italiana, ma generalmente inapplicati quando si passa dai programmi alla prassi amministrativa. Non è raro, quando la terra si mangia le persone, assistere a sollevazioni di sindaci e amministratori inviperiti, che accusano lo Stato di non dare loro gli strumenti necessari. Pochi ricordano che la riforma "federale" dello Stato ha trasferito ogni controllo in materia di difesa del suolo agli enti locali: dopo le leggi Bassanini e la Riforma del Titolo V della Costituzione le Regioni hanno competenze specifiche nel governo del territorio e delle risorse che servono ad assicurarlo, mentre lo Stato centrale conserva il compito di programmare e finanziare gli interventi di difesa del suolo: è evidente che solo dalla leale collaborazione tra Stato e Regioni può venire una soluzione.Più concretamente, per tornare ai casi siciliani (e non solo), se si escludono i controlli sui piani paesistici e quelli sui piani di assetto idrogeologico, il governo nazionale non ha strumenti per condizionare la scelta delle aree su cui costruire. E nessuno può sostenere che manchi l’informazione per costruire bene e al posto giusto: il monitoraggio del rischio idrogeologico realizzato dal Ministero dell’Ambiente e dai Carabinieri copre ormai oltre il 90% del territorio nazionale.Lo ripetiamo: nessuno può dire di non sapere. E nessuno può affermare di non dovere. Lo Stato e le Regioni, che continuano a non dialogare eppure invocano la programmazione. I Comuni, che deliberano autorizzazioni edilizie e piani urbanistici spesso a prescindere dai piani di assetto idrogeologico (le fotografie del rischio che restano nei cassetti delle Regioni, le quali, dopo averli redatti e approvati, dovrebbero controllarne il rispetto). Incombono quindi cento, mille San Fratello. E non possiamo continuare ad affidarci alla speranza che non piova mai.
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