Noi uomini dobbiamo fare mea culpa. Ma le donne ci aiutino
Questo #MeToo tricolore può condurre a conquiste importanti contro la mercificazione del corpo. Ma per educare una generazione migliore è necessario allearsi su ciò che precede il tema del consenso

In tanti dobbiamo fare autocritica, tra i maschi, a essere onesti, se all’inizio non abbiamo tutti e in massa preso sul serio l’indignazione contro le pagine e i siti di cui si parla in questi giorni, dove le donne sono catalogate, esibite a loro insaputa, insultate, per certi versi abusate, non solo virtualmente, e molto di peggio. Non era volontà di sottopesare il problema, ma va dato atto che col passare dei giorni è stato un crescendo di notizie, nuovi particolari, dettagli via via sempre più inquietanti, e l’ostinazione di tante donne, politiche, attiviste, intellettuali, di spettacolo, a non lasciar cadere la cosa, sta configurando oggi uno scenario che se lo si osserva nel suo insieme alzando un po’ lo sguardo dai tanti frammenti che lo compongono, spalanca orizzonti. È come un nuovo #MeeToo tutto tricolore, spontaneo, affatto ambiguo, che non va lasciato morire, si spera l’inizio di un processo importante per dire veramente qualcosa di condiviso in fatto di sguardo maschile sul mondo, mercificazione dei corpi, contenuti della rete, limiti e, soprattutto, educazione.
Parlavamo della sottovalutazione, non frutto di poca sensibilità, quanto della disillusione, perché in fondo cosa c’era di veramente nuovo in rete, questa volta? Foto di donne, corpi nudi, immagini contraffatte, video, frasi becere, scatti rubati, istinti, appetiti. Cose poco nobili, insomma, ma in tanti si son chiesti: non è questa la norma e la libertà della rete, tanto rivendicata e difesa, che sappiamo essere spazio nobile di discussione quanto fogna, luogo di lavoro e di amicizie o santità come anche inferno dell’umano? Qualcuno non a caso ha subito contrapposto l’orrore della pedofilia che impera nell’universo digitale, o di quanta sessualizzazione di minori si offre già sui nostri schermi, persino condivisa con innocenti intenti, ma priva di consensi consapevoli, da familiari e amici. Difficile, dunque, discernere. Le donne però, forse in ragione di un coinvolgimento di tante di loro poco avvezze a tali ribalte, qui non hanno lasciato che la storia prendesse la direzione verso cui solitamente vanno ad arenarsi vicende simili. All’inizio è stata la pagina social “Mia moglie”, dove tra consorti e compagne esibite a loro insaputa, per commentare tra soli uomini, si diceva già tutto della viltà cui un maschio può abbandonarsi e di troppe traiettorie interrotte di sviluppo. Poi è riemerso un sito, quel Phica.eu, prodotto di una fantasia congelata alla secondaria inferiore, già noto e segnalato ma, a riprova di quanto detto, tutt’altro che censurato, e la cui ragione può essere riassunta così: un luogo nel quale trovare, catalogate e ordinate per nome o per luogo, tutte le immagini possibili con pelle e carne a vista di migliaia di donne delle quali esistono foto o video, pubblici oppure presi a tradimento, e dove riunirsi tra maschi per riversare commenti in libertà e anonimato, meglio se d’istinto e ispirati da bassezza, odio, disprezzo o attitudine alla mercificazione del corpo, per scopi noti e intimi. Grazie alle denunce si sta risalendo ad alcuni responsabili e in questi giorni sono stati ipotizzati vari tipi di reato, dalla diffamazione all’istigazione a delinquere, dal vilipendio di organi politici al revenge porn, ma sembrano esserci anche i margini dell’estorsione laddove sono stati chiesti denari in cambio della rimozione di contenuti. Vedremo.
Vale la pena, in questa occasione, fermare un attimo il discorso sulle questioni giuridiche contingenti e riflettere su cosa tutti e tutte noi, la società, consideriamo legittimo esistere, essere promosso, accettato, e a disposizione, raggiungibile da chiunque, sempre e a qualsiasi età. Dunque, è bene strutturare questo nuovo moto di indignazione fino a convenire che da domani internet, per norma, può diventare un luogo un po’ diverso, un po’ più vigilato e perseguibile, ma anche leggermente meno accessibile da chi in fase evolutiva si sta formando un’idea di come stare nel mondo e insieme agli altri. Senza illusioni, perché non esiste una soluzione facile di fronte allo sconfinato universo digitale in cui maschi orfani della protezione patriarcale mostrano ogni giorno la pena di una condizione umana fragile e frustrata. Chissà, forse in ragione di un protagonismo femminile che ne mette a nudo l’inadeguatezza a una gestione paritaria, dignitosa e rispettosa della relazione. Ma se, appunto, una risposta semplice non c’è, potremmo convergere su alcuni principi di base e incominciare proprio dall’educazione, da quella capace di ricordare che affinché un corpo non diventi oggetto di mercificazione è bene innanzitutto evitare di esaltare e promuovere la sua offerta come merce. Il consenso fa tutta la differenza, quando si tratta di adulti e di contesti giuridici, ma ci sono età in cui questo scudo si rivela fragile e inadeguato. L’immagine della donna che ne fa il racconto della pornografia, l’accettazione della prostituzione diffusa se magari consente di arrotondare stipendi leggeri o fare shopping di lusso, la difesa di un mercato anche della maternità: non sono forse, questi, territori di frontiera, nei quali la neutralità del giudizio favorisce il formarsi di un’idea malsana delle buone relazioni tra esseri umani? E se esiste uno sguardo predatorio maschile, quale messaggio veicola l’esserne tante volte complici al femminile?
La questione non è né per soli uomini né per sole donne, ma riguarda chiunque, genitori e oltre, si sente coinvolto nell’educare una generazione migliore e cerca un alleato forte nel sostegno del discorso pubblico. Impresa ardua, fintanto che, a monte del tema del consenso sempre necessario, continuerà ad essere complicato intendersi su cosa è “voler bene” e “volersi bene”. Amiamoci, insomma, ma soprattutto rispettiamoci.
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