venerdì 11 febbraio 2011
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Caro direttore,dall’Unità a Europa duri attacchi al governo per la decisione di istituire la "Giornata nazionale degli stati vegetativi". Ancora una volta, e me ne dispiace molto, la sinistra non perde l’occasione per farsi male da sola e spreca tempo ed energie che meriterebbero decisamente cause migliori. Nessun rispetto per le famiglie dei malati, che dimostrano quotidianamente, nelle cure e nella vicinanza ai loro cari, di essere a favore della loro vita, anche se è una scelta che crea sacrificio e sofferenza. Per i Soloni di certa sinistra e radicali evidentemente è una vita indegna di essere vissuta. Si può pensarla come si vuole ma, come medico che lavora a fianco delle persone colpite da grave disabilità, conosco bene l’argomento e mi colpisce sempre, da un lato. l’assoluta ignoranza in materia di chi – come Federico Orlando, condirettore di Europa – confonde la morte cerebrale con lo stato vegetativo e, dall’altro, l’assoluta mancanza di rispetto per le famiglie di queste persone, di questi cittadini. Parlare addirittura di "necrofilia", come fa la parlamentare radicale Maria Antonietta Coscioni, eletta nelle file del Pd (del Pd! Ma non avevano proprio nessun altro da candidare?), significa capovolgere la realtà. Se poi aggiungiamo che fra i firmatari dell’appello dei medici della Cgil troviamo il professo Umberto Veronesi, che si distingue anche per il suo sostegno acritico al nucleare e agli inceneritori di rifiuti (mi raccomando, collega, non si faccia venire strane idee), mi chiedo: chi è il vero necrofilo?

Luca Salvi, Verona

Faccio mia, caro Salvi, la sua lucida indignazione di uomo e di medico. E penso che dovrebbe far riflettere sul serio chi a sinistra – cosa che addolora lei e interroga chiunque – e altrove non vuol proprio ragionare e, davanti alle realtà della vita imperfetta, s’entusiama per la via perfetta della morte a comando. È questa la vera necrofilia, lei conclude, e a me pare che sia davvero difficile non rendersene conto. Bisognerebbe, poi, riuscire a riflettere anche sull’incredibile mancanza di rispetto e di ascolto registratasi nei confronti dei protagonisti della "Giornata nazionale degli stati vegetativi" (e, infatti, noi ci riflettiamo a pagina 2, con Pino Ciociola). In troppi hanno badato soltanto a sovrastare – magari con argomenti polemici scadenti, scaduti e persino scandalosamente sbagliati – voci scomode e spesso silenziate per proclamare desolanti e ben poco scientifiche "verità rivelate". Non so se e quando questi autoproclamati "laici" e "progressisti" riusciranno a spiegare a tutti noi la loro fascinazione per la morte come autodistruttiva affermazione di libertà. Noi che crediamo che la morte sia un passaggio e non una risoluzione, noi che con Francesco d’Assisi abbiamo imparato a chiamarla «sorella», continuiamo semplicemente a dire che ogni vita ha una sua fine naturale e che nessun accanimento terapeutico è giusto, ma che nessun abbandono di chi è malato o disabile può essere sopportato e giustificato. E c’è dell’altro. Lo dico, laicamente, ogni volta che posso: la civiltà umana s’è iniziata davvero non solo quando l’uomo ha cominciato a rendere omaggio ai propri defunti, ma quando ha deciso che non si poteva "lasciare indietro", a morire di fame e di sete, chi non riusciva più a nutrire se stesso. Marco Tarquinio
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