martedì 14 gennaio 2014
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Gentile direttore,
vorrei subito augurare un buon 2014 a lei e alla sua redazione per il lavoro che fate e per come, delicatamente, con le vostre "buone notizie" quotidiane, state vicino a noi lettori. Vorrei, poi, confermare il pensiero di Marina Corradi dal titolo «Non c’è da fuggire, il Natale è qui» (Avvenire del 24 dicembre scorso). Mentre leggevo la frase «Tra le luci di Natale mi ha colpito lo sguardo assente di una signora», la mia mente era andata subito al cuore del problema di quella persona: avevo capito che aveva perduto qualcosa di molto importante. Marina Corradi percepisce e vede, tramite lo sguardo di una signora per strada, il volto della mamma, pallido e impietrito dal dolore del primo Natale dopo la morte della figlia bambina. Conosco questi sentimenti, non sono sentimenti di un dolore fisico, ma sono sentimenti che distruggono l’anima e che poi, inevitabilmente, si manifestano sul volto di una persona per anni. È un volto che mi porto dietro da quattro anni, dopo la morte di mia figlia Rosangela ventitreenne e, per ogni Natale già, avrei voluto «fuggire in un posto dove non arriva nessuna luce». Poi ho capito che, affrontando il problema, esso può essere risolto, ritrovando la pace interiore; per fuggire e fare silenzio in se stessi c’è sempre tempo. Mi direte: «È troppo facile!». Avete ragione, ci vuole tanta umiltà e pazienza per avvicinarsi a questa fede che lavora nella profondità del cuore: «Nel momento in cui uno si impegna a fondo, anche la Provvidenza allora si muove». Ecco che scoprirai che, nel cuore del Natale, troverai le tue risposte e quel bambino fatto adulto, di nome Gesù, che ha sconfitto la morte. Un giorno ci darà la possibilità di riabbracciare i nostri figli che non sono perduti nel nulla.
Gino D’Ambrosio
Ha proprio ragione, caro amico: nessuna parte – neanche la più piccola – della vita e dell’amore che ci ha generato e accolto e che, a nostra volta, abbiamo generato e accolto, e dalla quale ci siamo sentiti riempire, scaldare, spronare e persino svuotare è mai «perduta nel nulla». Proprio nessuna parte, mai. Lo dico per averlo sperimentato, e perché da cristiano, da cattolico, da padre, da figlio, credo assieme a lei che verrà il giorno in cui tutti coloro che hanno vissuto nell’amore potranno riabbracciarsi davanti a Lui. Ho provato anch’io direttamente il dolore del distacco che, prima o poi, tocca a ognuno di noi: quello dai propri genitori. E ho vissuto, accanto a persone care, la prova terribile che invece è toccata a lei: la morte di una figlia o di un figlio. Dicono che è un’esperienza innaturale, che nessun padre e nessuna madre può riuscire a concepire, e che sopporta a stento. Penso che sia vero. E proprio per questo penso anche che gesti e parole di padre come i suoi, questa lettera scritta e spedita lungo un cammino paziente e umile, queste parole di abisso e di luce, siano una benedizione. Certo, in simili casi gesti e parole possono non bastare, anzi quasi mai bastano. Eppure è nell’esperienza di tanti di noi che senza parole giuste, senza gesti giusti – e quanto sono forti e preziosi quelli che Gesù ha dato alla sua Chiesa e alle nostre vite – saremmo tutti irrimediabilmente più poveri di speranza. Una speranza che dà senso alla sofferenza, ma non la cancella (perché non è uno sconto di pena, ma una dura salita da compiere a occhi aperti). E nulla, caro e gentile signor Gino, può diventare «troppo facile» quando ci si misura con il dolore vero. Ma mi pare proprio che tutto questo lei lo sappia e lo dica meglio di me, offrendoci gli echi che lo scritto di Natale di Marina Corradi ha suscitato nel suo cuore e nella sua testa. Le sono grato per questo e per avermi fatto riflettere una volta ancora sulla verità che ci fa liberi anche dall’ombra della morte.
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