giovedì 12 dicembre 2013
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Non sono cambiati i motivi della protesta e, ancor prima, del disagio che talvolta lambisce la disperazione. Una crisi che morde da lungo tempo, troppo tempo. L’evaporazione delle forme politiche e sindacali di rappresentanza. La percezione di una risposta istituzionale ritardata e, finora, in Italia come in Europa, scarsamente efficace. La "protesta dei forconi" trasuda inoltre caratteristiche simili a quelle assunte dall’antagonismo globalizzato. Opposizione fattasi, nella contemporaneità digitale, policentrica e trasversale, per certi versi a-nonima – letteralmente senza nome – e, dunque, senza volto soprattutto quando indossa una maschera. Una rivoluzione incompiuta e interrotta, quella no global, che pure aveva istanze positive, una tensione trasformativa del mondo nella misura in cui esprimeva, occupando pacificamente Wall Street, un’«indignazione» per l’aumento delle disuguaglianze e la rapacità di una finanza sganciata dalla produzione.Dai "no global" ai "no euro", però, ciò che non si elabora simbolicamente rischia sempre di ripetersi traumaticamente. Con il radicalizzarsi, ad esempio, della dimensione a-nonima in una esplosione di dissenso amorfa dove confluiscono, infiltrandosi e mimetizzandosi, estremismi di destra e sinistra, sfoghi ultras e pulsioni distruttive. Ed è questo contenitore improvvisato che finisce per lasciare spazio ai lanci di pietre o ai roghi di libri, come minacciato ieri a Savona in perfetto stile "Fahrenheit 451". Al desiderio legittimo e persino utopico di cambiamento si sostituisce così una distopia nichilistica che non distingue più, oltre ai bersagli, le ragioni stesse del malessere, confondendo i prezzi del carburante con gli scaffali di una libreria, le cartelle di Equitalia con il Trattato di Maastricht. Anche la protesta, tuttavia, richiederebbe di mostrare un volto, di metterci la faccia contribuendo a elaborare una richiesta entro regole democratiche. Altrimenti istanze legittime scivolano in una sorta di neo-luddismo sociale il cui obiettivo è distruggere il telaio istituzionale e con esso qualsivoglia tentativo di evoluzione politico-sociale.
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