giovedì 2 febbraio 2023
Il governo non vuole che qualcuno si dedichi alla salvezza sistematica dei naufraghi, perciò decide di boicottarne l’attività. E fa lo slalom per aggirare il diritto internazionale
Diritto e morale sono stravolti dal decreto Ong. Una strategia che tradisce radicati e fondamentali princìpi etico-giuridici

Diritto e morale sono stravolti dal decreto Ong. Una strategia che tradisce radicati e fondamentali princìpi etico-giuridici - Ansa

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Un plausibile esperimento mentale. La presidente Meloni e i ministri Salvini e Piantedosi, a bordo di una imbarcazione privata, incrociano sul Canale di Sicilia un barchino in avaria carico di esseri umani, migranti africani abbandonati al loro destino dagli scafisti. Sono seriamente proponibili tre domande. La prima: vorranno spontaneamente salvarli? Ipotizziamo agevolmente la risposta positiva (perfino se... l’evento non fosse ripreso da alcuna telecamera). La seconda domanda è giuridica: essi sono legalmente tenuti a salvarli? Indubbiamente sì. Ultimo quesito: ancorché la loro imbarcazione battesse bandiera australiana, avrebbero l’obbligo di accompagnarli nel più vicino porto siciliano? Certamente sì.

Posto che soltanto il trasporto marittimo ha accompagnato l’evoluzione della civiltà umana fino al 1800, l’obbligo di salvataggio ne ha costituito per secoli una costante, prima di essere disciplinato dal codice della navigazione del 1942 (artt. 489 e 490) e dalle convenzioni internazionali, nell’interesse della gente di mare, degli armatori, delle compagnie assicuratrici e perfino degli animali (art. 9, 3° Cost.). Nelle democrazie (non solo) europee obbligo siffatto è diventato tanto diffuso quanto kantianamente categorico, prescindendo cioè perfino dalla responsabilità e dalla volontà di chi provochi l’intervento salvifico. Viene protetto dalle competenti autorità tanto il gatto che, inerpicatosi sul tetto, non riesce a discenderne (imponendo l’intervento dei Vigili del fuoco), quanto non solo l’alpinista che, ignaro dei propri limiti, azzarda una scalata più ardua delle proprie capacità, ma anche chi abbia tentato di suicidarsi. Ma la linearità di tali conclusioni etico-giuridiche è entrata in crisi quando l’Europa si è dovuta confrontare con il fenomeno epocale di una crescente migrazione africana. Lampedusa, estremo lembo territoriale meridionale dell’Italia, è più vicina all’Africa che alla Sicilia e geograficamente fa parte del continente africano.

Chiunque soccorra un naufrago ha l’obbligo di farlo sbarcare sulla costa sicura più vicina, perché la navigazione marittima è di per sé più pericolosa del trasporto terrestre: il naufrago è salvo solo se e quando sia «uscito fuor dal pelago a la riva» (Dante, Inferno, I, 22). Perciò qualunque salvataggio di naufraghi, da chiunque eseguito, sul canale di Sicilia deve concludersi con il loro sbarco sulle coste siciliane, Pos (Place Of Safety, luogo di salvezza). È vero che a propria volta l’Italia e le sue acque territoriali rappresentano in parte il confine meridionale dell’Unione Europea. Ma l’immigrazione dai Paesi africani è innanzi tutto – nel tempo e nello spazio – un problema dello Stato italiano (oltre che della Grecia e della Spagna), almeno fino a quando la Ue (cioè tutti i Paesi che ne fanno parte) non prenderà in carico doverosamente e seriamente tale questione epocale. Frattanto la politica migratoria italiana brancola tra due inconciliabili indirizzi. Instaurare una costruttiva e positiva trattativa tra i Paesi europei per distribuire equamente gli emigranti dopo lo sbarco nel porto italiano più vicino.

Oppure ostacolare o impedire tour court i salvataggi e lo sbarco sulle nostre coste. L’attuale governo, di fatto, sembra preferire questa seconda drammatica alternativa. Perché? La prima infatti non ci avvantaggerebbe, giacché in realtà, nonostante la retorica di segno opposto, l’Italia – come “Avvenire” documenta da tempo – accoglie stranieri in numero assai inferiore rispetto a molti degli altri Paesi europei. In concreto, però il Governo fa persino di peggio. Per un verso, usa i naufraghi e le loro sofferenze per imporre la propria volontà ad altri Stati della Ue per altro verso, ostacola il soccorso privato organizzato (e per questo martedì il Consiglio d’Europa ha messo in guardia l’Italia definendo «intimidatori» e «da revocare» i decreti sulle Ong).

Ecco perché le Ong – armatori umanitari di navi destinate a pattugliare il canale di Sicilia, tappando le falle causate dall’inerzia delle autorità italiane, per salvare i naufraghi partiti dalla costa africana – sono oggetto di una lotta senza quartiere da parte di donne e uomini di governo che nelle medesime situazioni agirebbero spontaneamente – e dovrebbero agire per legge – nel modo descritto nell’esperimento mentale anzidetto: salvare i naufraghi e portarli al sicuro nel porto più vicino. Questo è iniquo. E l’iniquità genera mistificazioni: nella specie, almeno tre. La prima si compendia nella proposta di «aiutarli a casa loro», intenzione ipocrita rispetto all’impellente «qui e ora» delle quotidiane fughe dalle coste nordafricane. La seconda proclama a gran voce che, impedendo alle Ong di salvare i fuggitivi, essi saranno scoraggiati dal partire e saranno finalmente debellati i trafficanti di esseri umani: come dire che non assistendo e non curando i drogati, facendoli così morire, saranno definitivamente sconfitti gli spacciatori! L’ultima imperdonabile mistificazione è evidentemente tanto aprioristica quanto calunniosa: gli operatori umanitari sarebbero in combutta con i trafficanti per agevolare gli sbarchi clandestini. Fin troppo agevole l’obiezione: ma allora ci sarebbe una ragione in più per fare approdare, nel porto italiano più vicino, le imbarcazioni delle Ong, allo scopo di indagare sulla loro condotta e reprimerne i reati! Timoroso di incorrere negli stessi reati contestati (a partire dalla nave Diciotti) al ministro Salvini (tutt’ora sotto processo a Palermo), il ministro Piantedosi ha escogitato nuove giustificazioni e strategie nella lotta alle Ong ai naufraghi.


Chiunque soccorra un naufrago ha l’obbligo di farlo sbarcare sulla costa sicura più vicina, perché la navigazione marittima è di per sé più pericolosa del trasporto terrestre: il naufrago è salvo solo se e quando sia «uscito fuor dal pelago a la riva» (Dante, Inferno, I, 22)


L’ 8 novembre 2022 approdano al porto di Catania le imbarcazioni delle Ong Humanity 1 e Geo Barents. Viene intanto autorizzato soltanto lo sbarco selettivo dei naufraghi giudicati fragili (?). È negato invece l’approdo alla nave Ocean Viking (bandiera norvegese, ma nave della Ong francese Sos Mediterranee) La tesi del ministro è quella per cui il “porto sicuro” deve essere individuato nello Stato sotto la cui bandiera naviga l’Ong. La decisione della Ocean Viking di dirigere la prua verso Tolone viene proclamata una “vittoria” italiana e perciò il compiaciuto ministro dispone infine lo sbarco di tutti i naufraghi approdati a Catania. Le conseguenze sono gravi.

Absurdissimum che la Ocean Viking, dopo avere salvato i naufraghi nel canale di Sicilia, debba poterli sbarcare soltanto in Norvegia o in Francia! Ne consegue una crisi diplomatica con la Francia, anche perché non sembra che essa abbia offerto con atti ufficiali l’approdo. Come se non bastasse, appare plausibile che Piantedosi abbia utilizzato i naufraghi non sbarcati a Catania come mezzo di pressione per convincere la Francia a concedere l’attracco della Ocean a Tolone. Una condotta questa che allora, negando lo sbarco ai naufraghi non fragili per conseguire un fine illegittimo, integrerebbe il reato di sequestro a scopo di coazione (art. 289 ter c.p.). Il Tribunale dei (per i) Ministri di Catania dovrà ora valutare la denuncia in tal senso presentata. L’ acme della deliberata illegalità, sul piano operativo coordinato con quello legislativo, è stata raggiunta nel gennaio 2023. Il naufrago – si è ricordato – è salvo se accompagnato «dal pelago a la riva», e la Regione siciliana è ricca di porti, perfino sul Canale di Sicilia, sicché niente impedisce di organizzare e distribuire nel modo migliore l’accoglienza dei naufraghi. Ma, fallito il tentativo di costringere gli altri Stati ad accogliere i naufraghi, i Ministeri competenti hanno ora deciso di assegnare alle Ong subito il Pos, indicandolo tuttavia in porti italiani assai lontani dall’intervento salvifico: Taranto, Salerno, Livorno, Ravenna, Gioia Tauro, Ancona, La Spezia, Carrara. Gli effetti pregiudizievoli di tali provvedimenti sono evidenti. L’assegnazione del Pos evidenzia intanto che l’intervento dell’Ong è stato legittimo, escludendo così a priori qualunque illecita intesa con i trafficanti. E tuttavia, senza ragione alcuna, i naufraghi sono costretti, in pieno inverno, a pericolosi viaggi per mare di quattro o cinque giorni. Le Ong, costrette ad affrontare ingenti spese ulteriori (anche per il ritorno), sono così allontanate dal luogo (il Canale di Sicilia) dove sarebbe invece necessaria la loro missione si soccorso. Viene riscritta la parabola del Buon Samaritano. Ma non sarebbe affatto buono colui che, dopo il soccorso, non affidasse la persona in pericolo a una vicinissima “locanda” per esservi curato (Luca 10,25-37). E sarebbe altrettanto insensato, oltre che penalmente responsabile, il conducente di un’ambulanza che, dopo avere soccorso a Siracusa una persona bisognosa di cure, la conducesse ad un Pronto Soccorso di Ravenna.


Le organizzazioni non governative, costrette ad affrontare ingenti spese, sono allontanate dal luogo in cui sarebbe invece necessaria la loro missione di soccorso. Viene riscritta la parabola del Buon Samaritano


Non mancano neppure le «astuzie» dell’alchimia giuridica. Si teme che, prolungando il viaggio della salvezza, l’Ong possa incontrare e salvare (come, in linea di principio, è doveroso per legge) altri naufraghi? Nessun problema. L’art. 1 del D.L. n. 1 del 2 gennaio 2023 impone ora alle Ong, a pena di gravi sanzioni amministrative, che «il porto di sbarco assegnato dalle competenti autorità è raggiunto senza ritardo per il completamento dell'intervento di soccorso». Sul punto è illuminante l’interpretazione autentica espressa dalla presidente del Consiglio: «Se salvi delle persone, le devi portare al sicuro. Non puoi fare salvataggi finché la nave non è piena. Perché altrimenti non è un salvataggio fortuito». Dunque, è ora sempre “vietato” un secondo salvataggio, ancorché sia compatibile con gli impegni assunti con il primo. Si tocca così finalmente il cuore della questione: il Governo non accetta che le Ong si dedichino alla salvezza (non casuale, ma) sistematica dei naufraghi e perciò decide di boicottarne l’attività. Qualcuno ricorda che il diritto internazionale e la legge del mare consentono - e favoriscono anzi – il salvataggio sistematico di naufraghi. Perciò un’ulteriore denuncia dovrà ora essere esaminata dal competente Tribunale dei (per i) Ministri. Il sonno della ragione genera mostri. Siamo sempre “Italiani, brava gente”?

Magistrato, già sostituto procuratore generale presso la Corte di Cassazione


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