domenica 30 novembre 2014
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Quando questa mattina Francesco e Bartolomeo si affacceranno dalla loggia della chiesa patriarcale di San Giorgio e poi firmeranno una dichiarazione congiunta, la visita del Papa in Turchia raggiungerà il culmine, confermando nel contempo la sua autentica natura. Questo è infatti un viaggio concepito, preparato e realizzato interamente sotto il segno del dialogo. Dialogo ecumenico, innanzitutto, con la principale Chiesa dell’ortodossia. Dialogo interreligioso con i musulmani, poi, e infine dialogo "politico" con le autorità di Ankara data «la grande importanza» della Turchia sullo scacchiere mediorientale. Gli ultimi due aspetti, poi, come la giornata di venerdì ha dimostrato, appaiono in qualche modo connessi.Va detto però che se il denominatore è comune, i moltiplicatori non sono risultati esattamente equivalenti. Fuor di metafora, il dialogo con il Patriarcato ecumenico ha fatto registrare un grande passo avanti verso «il ristabilimento della completa comunione» (sono parole di Bartolomeo), quello interreligioso ha segnato punti importanti come la nuova visita di un Papa a una moschea (e il momento, al suo interno, che padre Lombardi ha definito di «silenziosa adorazione»), mentre l’incontro con il presidente Erdogan ha permesso di misurare la distanza ancora esistente tra un certo modo di impostare l’azione geopolitica dei governi dell’area mediorientale e il linguaggio nuovo di un Pontefice che chiama fratelli tutti gli uomini e che annovera amici di vecchia data anche tra i musulmani e gli ebrei, come è apparso chiaro durante la visita di maggio in Terra Santa. Nel "viaggio del dialogo", a diversi livelli, papa Francesco sta parlando la lingua della comunione con i fratelli ortodossi e dei valori comuni con i musulmani. Ha già elencato le libertà fondamentali dell’uomo, ha invocato il diritto internazionale e ha detto senza mezzi termini che la pace passerà, anche e soprattutto, attraverso il dialogo interreligioso, base dell’incontro e della collaborazione su problemi specifici come la lotta alla fame e alle malattie.Sotto il profilo ecumenico, a poche ore dalla sua conclusione, si può dire che questo viaggio segna una tappa fondamentale ed è un successo, soprattutto perché sta mostrando alle altre Chiese ortodosse (e al Patriarcato di Mosca in particolare) che nel Vescovo di Roma e in tutti i cattolici non c’è alcuna volontà "egemonica", ma solo il desiderio di un abbraccio nella piena comunione che completi anche teologicamente le parole e i gesti che Francesco e Bartolomeo si sono scambiati sul piano personale qui a Istanbul.Ma a ben vedere, anche per ciò che riguarda il dialogo interreligioso, la tre giorni turca potrebbe diventare un evento storico. In un momento in cui le principali centrali terroristiche nel mondo – dall’Is a Boko Haram, da al-Qaeda ai gruppi che operano nelle Filippine – hanno una comune matrice islamica, la visita di Francesco, i suoi gesti e le sue parole appaiono come un’offerta di dialogo e di amicizia al "vero" islam, quello pacifico e moderato, «così da bandire ogni forma di fondamentalismo e di terrorismo che umilia grandemente la dignità di tutti gli uomini e strumentalizza la religione».Se il mondo musulmano maggioritario saprà accogliere e far proprio questo invito, se accetterà di farsi sentire e di parlare la stessa lingua del dialogo e dei diritti umani di papa Francesco, isolando gli estremisti, avrà – per la sua parte – posto una premessa essenziale per risolvere l’infinita crisi mediorientale, e bloccherà sul nascere – posto che veramente ci sia – anche quella "islamofobia" di cui parlavano venerdì il presidente turco Erdogan e, sia pure con accenti un po’ diversi, il muftì Mehmet Gormez. L’ultima cosa che desidera Francesco è che su questi temi il "suo" dialogo diventi un monologo, l’ennesimo tra i troppi del nostro tempo. Monologo per mancanza di interlocutori o perché quelli potenziali usano la religione solo a fini di propaganda politica e di interessi personali. Sì, questo è il tempo della fede, del coraggio e della chiarezza.
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