Nel mondo in tensione la pace parla italiano
venerdì 14 aprile 2017

Sergio Mattarella è rientrato in Italia dopo i due giorni in Federazione russa. C’è di sicuro grande soddisfazione interiore nel capo dello Stato italiano, per la sensazione di aver recitato, quasi suo malgrado – la visita era programmata da tempo, su pressante e ripetuto invito di Vladimir Putin – il ruolo dell’uomo giusto al posto giusto. L’uomo del dialogo, a capo di un Paese che si batte più di tutti per una soluzione negoziale e non militare persino dove fino a pochi giorni fa l’uso delle armi chimiche aveva suscitato orrore in tutto il mondo e il conflitto stava per diventare 'mondiale'. Senonché il dialogo è improvvisamente ripartito, praticamente sotto gli occhi di Mattarella, con l’incontro a sorpresa, nel corso della sua visita, fra il segretario di Stato americano Rex Tillerson e lo stesso Putin, definito «costruttivo» dal Cremlino.

Risultato non da poco visto che solo qualche giorno fa le due vecchie Superpotenze erano arrivate quasi a fronteggiarsi. Soddisfazione interiore, si è detto, provando a intercettare uno stato d’animo. Lo autorizza a pensare l’impostazione morotea cui più volte si è richiamato Mattarella in questo primo scorcio di mandato, in base alla quale quanto più c’è la sensazione di poter concorrere a un grande risultato, maggiormente scatta la necessità di evitare trionfalismi o rivendicazione di meriti che potrebbero compromettere l’esito finale. I dossier spinosi dello scenario mondiale sono stati riaperti tutti, al Cremlino, e nei colloqui e proprio in questi giorni l’idea di non poter fare a meno di Mosca per la loro risoluzione si è andata affermando. Ex malo bonum, l’idea italiana che dalle terribili immagini dei bambini di Idlib possa ripartire – paradossalmente – una comune consapevolezza di non potersi rintanare nei rispettivi espansionismi o protezionismi si è finalmente fatta strada. Lo scenario mondiale, in sette giorni è un po’ cambiato. Ora saranno altre figure, altri ambiti a scrivere sul serio una nuova pagina di storia, se i Grandi ne saranno capaci. Ma c’è tanta Italia, come forse mai prima nella storia, nei punti chiave, a poter contribuire a questi risultati. In Siria è stata l’italiana Federica Mogherini, nel suo ruolo di Alto commissario per la politica estera, a levare per prima parole durissime e inequivocabili dopo il massacro di Idlib.

C’è un italiano, Antonio Tajani, al vertice del Parlamento di Strasburgo. C’è l’Italia, quest’anno, come componente di turno, anche nel Consiglio di sicurezza dell’Onu. E, per le Nazioni unite, ora tocca a un altro italiano (naturalizzato) come Staffan De Mistura, l’uomo delle grandi utopie di pace portate avanti senza risparmio, perseguire l’utopia tutta italiana per la Siria, di una «soluzione negoziale, non militare, con il concorso di tutti, Russia compresa, sotto egida Onu», come ha ripetuto Mattarella a Mosca. Perché, come ha spiegato senza mezzi termini il patriarca ortodosso Kirill nel colloquio con il nostro capo dello Stato, l’abbattimento del dittatore può scatenare lo stesso effetto dell’Iraq, ossia l’inizio di una fase – paradossalmente – di nuova persecuzione dei cristiani, se non si riuscirà prima ad avviare un processo di reale transizione democratica. Lo stesso vale per la Libia, il nodo che sta a cuore all’Italia, dove pesa il sostegno russo al generale Haftar che, per conto del governo di Tobruk, si oppone al governo di unità nazionale propugnato dalla comunità internazionale. Su questo versante Putin ha mostrato disponibilità assicurando di non parteggiare per nessuno, in Libia.

Certo, è difficile stare allo stesso tavolo negoziale fra Russia e Ue, fin quando permangono le sanzioni della Ue e resta la contesa irrisolta sull’Ucraina per il mancato decollo degli accordi di Minsk. Ma c’è ancora l’Italia chiamata a recitare il suo ruolo di mediatrice di pace, anche su questo. L’Italia che, come nazione ospitante, ha avuto l’ingrato compito di tener fuori dagli inviti del prossimo G7 a Taormina la Russia, farà di tutto per programmare il suo rientro, come lascia intendere il continuo andirivieni di leader italiani in quest’ultimo anno a Mosca (due volte Renzi, poi Alfano, Minniti, ora Mattarella e il 17 maggio Gentiloni). Italia che in questi mesi è al lavoro per rimuovere una situazione «dolorosa», come ha definito Mattarella la divisione fra Russia e Ue sulle sanzioni, pur sottolineando la loro 'leale' condivisione.

Ma anche sulla crisi ucraina l’Italia è pronta a recitare un ruolo di primo piano che le congiunzioni astrali le assegnano. Se ci sarà un’intesa sull’Ucraina, e la caduta delle sanzioni, sarà infatti l’Osce a vigilare sul rispetto degli accordi. Osce che avrà al vertice dal prossimo anno, un italiano. Per queste ragioni la tradizionale cordialità nei rapporti nei colloqui di Mosca di questi giorni si è arricchita di ulteriori significati politici. Con una vera e propria investitura per il nostro Paese di un compito di mediazione da parte dello 'zar' Vladimir. Così controverso e pure così necessario da tener dentro alle prospettive di pace, un po’ come nello spirito dell’utopia di Giorgio La Pira, nel pieno della guerra fredda.

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