sabato 23 febbraio 2013
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​Fa molto freddo. L’aria pungente e il vento che sferza le carni fa allungare il passo ai passanti imbacuccati. Il traffico impazzisce. L’aria è irrespirabile. Lo smog si taglia con le mani e fa tossire. La gente va. Ognuno per la sua strada. Ognuno chiuso nel suo guscio di speranze e di preoccupazioni. I tempi sono difficili. Tanti giovani sono senza lavoro e senza prospettive. Le mamme sono ridiventate esperte nell’arte del risparmio. Sanno dove dirigersi per evitare spese inutili. Piove. Le auto sono ferme. La pazienza di tanti va in frantumi. Imprecano. Contro chi, non si capisce bene. Si arrabbiano, e premono ripetutamente il clacson. Tutti insieme. Un rumore assordante e inutile. Tutti vorrebbero andar via. Raggiungere la meta prefissata. Impossibile. Le lancette dell’orologio galoppano. Di certo tanti arriveranno tardi sul posto di lavoro.Stili di vita. Li chiamano così. Ognuno ha i suoi. Qualcuno lo puoi decidere da solo. Fumare, per esempio. Certo, verrebbe da ridere. I bambini riescono a captare l’assurdità. «Il fumo fa venire il cancro», c’è scritto sul pacchetto di sigarette. Poi chi sembra preoccuparsi per la tua salute, continua a fare affari d’oro vendendoti il tabacco. Mah! Siamo fatti così. Un po’ strani, un tantino stralunati. Stili di vita, dicevamo. Altri li devi accettare. Non dipendono da te. O, almeno, non solo da te. Come il traffico stamattina. Pur volendo, non puoi non respirare l’aria avvelenata. Si potrebbe fare qualcosa? Certamente. Occorrerebbe convincersi che l’idolo che chiamiamo progresso ci ha dato tanto, è vero, ma ci ha anche rubato tantissimo. Occorrerebbe fermarsi e capire insieme che cosa veramente aiuta l’uomo a essere più uomo. Che cosa gli dà più speranza e gioia. Non è facile. Gli interessi sono tanti. Sicché, anche se tutti sanno che più sale da gioco in una città equivalgono a più schiavitù, più povertà, più drammi familiari, questi locali dannosi continuano a spuntare come funghi.Occorrono scelte coraggiose da parte di tutti. Rinunciare a qualche comodità personale perché l’intera comunità possa averne un beneficio. All’angolo della strada c’è l’ospedale. L’ambulanza tenta di guadagnare l’entrata del Pronto Soccorso. Non ci riesce. La sirena impazzisce. Il tempo perduto potrebbe essere fatale per il paziente ricoverato a bordo. Si lamenta la sirena e invoca aiuto. Niente da fare, è immersa in un pantano di automobili. Ci vorrebbero le ali… Da un edificio attiguo sbuca un carro funebre. Dai vetri appannati si intravedono le lucine accese e un mazzo di rose rosse.  Qualcuno se ne è andato. Ha detto addio alla vita e si è immerso nel Mistero. Nessuno sembra accorgersene. Un’auto tra le altre in un fiume di lamiere rumoroso e fermo.Scene di tutti i giorni. Scene sempre uguali. In tutte le città. Un uomo. Va per la sua strada rasentando il muro per difendersi dal vento. Solo il viso è scoperto. Vede il carro e rallenta il passo. Si ferma, toglie il cappello e china il capo. Alza lentamente la mano e compie un gesto antico e sempre nuovo. Benedice e sussurra una preghiera. Rimane là, immobile, sereno, rispettoso fino al momento in cui il carro accenna qualche passo. È un prete. Un uomo chiamato a rendere più accessibile il Mistero che ci avvolge tutti. Un uomo che rimanda a un altro Uomo che è Dio con noi. Un prete che con la sola sua presenza orante richiama a ciò che veramente vale nella vita. Che sembra voler dire: «Sarebbe il caso di fermarci un istante e ricordare che tutto abbiamo ricevuto in dono». Dio è presente nelle nostre città contraddittorie e impazzite. Occorre, pur immersi in un traffico chiassoso ed estenuante, permettergli di parlarci al cuore. Occorre imparare a fare deserto dappertutto. Creare «monasteri invisibili» che si spostano con noi. Che lo incontriamo. Sempre.
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