giovedì 5 maggio 2016
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Il mix può essere dirompente. La crisi ucraina è a un tiro di schioppo. E per l’Osce sembra inasprirsi nuovamente, come l’ingerenza russa nello spazio aereo baltico. In Danimarca ci sono cinque violazioni mensili in media. La Nato fa quello che può, cercando di garantire la sicurezza dei cieli della zona. Ovunque cresce la fobia anti-russa, alimentata dal revanscismo montante dell’Orso. Ma non è che stiamo esagerando un po’? Il canale norvegese TV2 trasmetteva poco tempo fa la serie Okkupert, creata da Jo Nesbø. Sullo sfondo, un Paese sotto il giogo dell’esercito russo. A Oslo c’è chi ne approfitta per rivendicare più spese militari. L’ammiraglio Haakon Bruun-Hanssen non fa che lanciare allarmi. Ma può dormire sonni tranquilli, perché il governo conservatore di Erna Solberg ha previsto aumenti stabili del 9,8%. E allargato la coscrizione perfino alle donne, quasi un unicum nel panorama mondiale. È il ritorno dei popoli in armi sul teatro europeo? Dopo decenni di stagnazione e tagli, la corsa alle armi è ripresa. Accomuna tutti, svedesi, finlandesi, danesi e polacchi. Si mette mano al portafogli e si studiano nuove alleanze. A Stoccolma come a Helsinki sono in tanti a propendere per l’abbandono della neutralità storica. A vremo presto altri ingressi nella Nato? A Varsavia, una legge del 2001 ha sancito stanziamenti per la Difesa mai inferiori all’1,95% del Pil. Oggi si viaggia oltre il 2% cento annuo e fino al 2022 sono garantiti 33 miliardi di euro per i soli acquisti di armi. Con un’industria bellica molto rampante, il governo di centro-destra di Varsavia ha aperto linee di credito (opache) per finanziare commesse di armi e veicoli dai vicini più indigenti. È al centro di molte iniziative, come la neonata brigata trinazionale con Ucraina e Lituania. Per gli alleati occidentali, la Polonia è il baluardo sine qua non nell’Est europeo. Nessuno, fra gli Stati dell’area, ha un ruolo così rilevante. Da qui Mosca è sotto stretta sorveglianza. Soprattutto nel distretto militare occidentale, dove la I e la XX Armata saranno le prime grandi unità russe a ricevere entro il 2017 carri armati e blindati di ultimissima generazione, tutti concepiti per la guerra corazzata e di movimento. Piano piano stanno incrinandosi vecchi equilibri strategici. Le spese militari lievitano. L a Lettonia aumenterà del 40%, o quasi, il budget della difesa. In Lituania sono attesi incrementi del 30%. La leva è tornata obbligatoria anche qui. Il piano d’investimento militare nazionale per il 2014-2023 è molto ambizioso. E le mosse di approvvigionamento bellico la dicono lunga sugli input strategici. Si preparano le forze terrestri a fare combattimenti che ritardino eventuali avanzate nemiche, in attesa di rinforzi alleati. Nei circoli della Nato si studiano da tempo ipotetici scenari di guerra. Tramontato il famigerato varco di Fulda (l’area tra il vecchio confine tedesco-orientale e Francoforte, corridoio di possibili avanzate sovietiche), il saliente di Suwalki è assurto a peggiore degli incubi alleati. Ne ha parlato recentemente anche il generale Ben Hodges, numero uno del comando americano in Europa, aggiornando il Pentagono sulla criticità dell’area. Il varco di Suwalki è una striscia di pianura lunga 91 chilometri, tra la frontiera polacca e la Lituania. Separa nettamente Kaliningrad dalla Bielorussia, stretto alleato di Mosca, che sta negoziando una seconda base aerea, a Babruisk. Una guerra lampo russa attraverso il saliente taglierebbe fuori gli Stati baltici dall’Ue e dalla Nato, soprattutto se Q uadruplicano i fondi dell’European Reassurance Initiative. Riesumano il vecchio asse Giuk, dato per sepolto con la Guerra fredda, e tornato in auge fra la Groenlandia, l’Islanda e il Regno Unito. Mandano in Lituania e in Romania i caccia invisibili. Aumentano gli stock di materiali da guerra pre-posizionati fra la Germania e l’Est. Fra la Romania e l’Estonia ruoterà in permanenza una nuova brigata corazzata a stelle e strisce. Il tutto a partire da febbraio 2017. Sono mosse che irritano non poco Mosca, subito pronta all’escalation verbale e alla risposta sul campo. In fondo parliamo di poche migliaia di uomini, a fronte delle 60mila unità che immetterebbero i russi nelle primissime ore di un ipotetico conflitto, scompaginando tutti i piani difensivi alleati. Fra l’Artico russo e la Crimea, Mosca sta erigendo un baluardo fatto di batterie antimissilistiche, antiaeree e antinave: 'l’arco d’acciaio' di cui paventano i comandi Nato. Il generale Frank Gorenc, che capeggia le forze aeree americane in Europa, si dice preoccupato: «Il vantaggio militare alleato si sta erodendo». Forse abbiamo soffiato troppo sul fuoco. Poco tempo prima di morire, George Kennan affidò alle colonne del New York Times il suo testamento spirituale. Era il 5 febbraio del 1997. I n un editoriale premonitore, il vecchio padre della politica del contenimento sovietico ammoniva l’Occidente del rischio di allargare la Nato a Est, nelle ex marche di frontiera russe. Le sue parole non hanno bisogno di commenti: «Espandendoci, commetteremmo l’errore più fatale di tutta la politica estera statunitense del dopo-guerra». Inutile dire che non furono ascoltate. E dall’affaire Kosovo in poi, i russi hanno rivisitato le dottrine militari non aggressive varate nel 1989. Le politiche della Nato sono assurte «a minaccia più grave per la sicurezza nazionale». Kennan ci aveva visto giusto. E forse è troppo tardi per rimediare. Anche perché i russi non si fidano più. Stanno facendo saltare buona parte dell’architettura di sicurezza europea. Fra il 2010, il 2014 e il dicembre scorso, anche la dottrina nucleare russa ha assunto una configurazione allarmante. L’articolo 12 indica nella Nato il nemico numero 1 della Russia. La logica dei documenti è chiara. Sottende la volontà di riappropriarsi dell’estero vicino e di difenderlo, se necessario anche con armi atomiche, contro un’espansione 'alleata'. Non è un caso che dal 2000 le esercitazioni militari russe, spesso a sorpresa, includano scenari con raid nucleari limitati. E un anno dopo l’annessione della Crimea, nel febbraio 2014, Vladimir Putin ha rivelato di esser stato sul punto di suonare l’allerta alle forze nucleari. Ha dalla sua gran parte della popolazione che, stando a diversi sondaggi, approverebbe al 62% l’uso di armi atomiche. Q uest’anno, nonostante i tagli di bilancio, il Cremlino ha trovato 754 milioni di dollari per le forze nucleari, contro i 693 del 2015. Tutto è possibile, anche perché il trattato New Start fra Russia e America è più permissivo dei precedenti quanto a caratteristiche di missili e testate. Scadrà nel 2021, ma i russi stanno già forzando la mano. E qualcosa non torna. Il vettore RS-26 è già configurato per aggirare le difese anti-balistiche (Abm) che gli americani stanno erigendo in Europa Orientale e in mare. Dobbiamo ribadirlo: non c’è mossa che non generi una reazione. E fra la Nato e la Russia non ci si intende più. Il vertice interalleato di Varsavia, l’8-9 luglio prossimo non farà che ribadirlo, sancendo l’invio di altre 4mila unità all’Est. Sembra che 150-250 tedeschi affluiranno in Lituania. Intanto, fra i poligoni russi di Plesetsk, Kaputsin Yars e Sary Shaga, sta accadendo qualcosa di preoccupante. Ormai da tre anni. Mosca sta testando missili a lungo raggio con uno stadio in meno, a traiettorie tese e basse quote, in funzione anti-Abm. Il test è lecito. Gli sviluppi molto meno. Si tratta di una questione dirimente per il diritto internazionale: il Cremlino sta forse cercando di dotarsi di missili intermedi spacciandoli per missili intercontinentali? Mosca ha più volte minacciato di denunciare i vincoli del patto sulle forze intermedie, una delle pietre miliari della pace e della sicurezza in Europa. Di fronte alla Nato che si potenzia ai suoi confini, la Russia vorrebbe avere mano libera per attacchi nucleari in profondità sull’intero territorio europeo. È una spirale perversa. Cerchiamo di invertirne la tendenza, perché questo muro contro muro non giova a nessuno. Altrimenti la profezia di Kennan ci potrebbe spingere sull’orlo del baratro. © RIPRODUZIONE RISERVATA accompagnato dalla conquista dell’isola svedese di Gotland, scarsamente difesa al largo della Lettonia. L’area è ritenuta semi-indifendibile. E gli Stati Uniti stanno tornando a presidiarla.
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