domenica 21 dicembre 2008
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Caro Direttore,ho trovato disgustoso l’episodio riportato dal Mattino di Napoli, il 18 dicembre, del ritrovamento tra l’immondizia, da parte di un amico di famiglia, della targa in memoria di Giuseppe Riccio, il pizzaiolo ucciso dalla camorra. Il nome è la rappresentazione di ciò che la persona è, elemento fondamentale della sua identità. Il nome è ciò che ti fa persona: a nessuno è lecito infangarlo, calpestarlo, farlo scadere nel dimenticatoio della vergogna, specie se il nome è il nome di Giuseppe Riccio, un ragazzo che nella sua modestia-nobiltà di uomo, padre e onesto lavoratore, io credo che rappresenti degnamente l’Italia. Ma purtroppo il più delle volte sembra che prevalga l’indifferenza, questa micidiale arma che uccide i nomi delle persone, anche di quelle persone che hanno voluto dimostrare, andando contro l’arroganza criminale, che il debole va difeso. Giuseppe Riccio è nome che deve restare vivo in ciascuno di noi, perché non ha ceduto alla vigliaccheria; dobbiamo ricordare se vogliamo continuare a ritenerci dei giusti, perché se non siamo capaci di difendere e ricordare quelli come Giuseppe, allora è segno che siamo dei traditori, dei disertori, gente che ha abiurato alla propria dignità. Vorrei far sentire tutta la mia vicinanza alla moglie di Giuseppe; vorrei dirle grazie, grazie Maria, per la sua nobiltà di donna e di madre, e vorrei aggiungere dicendo a chi è di dovere, di dedicare una strada a Giuseppe, sarebbe il minimo che si possa fare, come atto di civiltà e testimonianza di democrazia.

Davide Cerullo

Il 18 dicembre 2005, un gruppo di balordi faceva irruzione in una pizzeria a Napoli per punire chi il giorno prima si era rifiutato di servire ai quattro delle birre in automobile. Giuseppe Riccio, pizzaiolo di 26 anni, cercò di fermare il raid punitivo e pagò il suo gesto con la vita. La sua morte provocò una sollevazione che vide unite in una manifestazione anticamorra istituzioni e tanta gente. Un ricordo che accentua l’amarezza per quanto lei ci riferisce. Qui non è in gioco solo la memoria di una persona ammirevole, Giovanni Riccio, che compì il gesto semplice eppure straordinario di non girarsi dall’altra parte e di reagire alla prepotenza, pagando per questo un prezzo terribile, perdendo addirittura la vita. A finire nell’immondizia con quella targa non è la memoria di Giuseppe, che rimane adamantina, ma quella di quanti a Napoli hanno scelto o si sono rassegnati ad essere specchio dei propri "bassi" più desolati. Tante volte si è evocata la necessità di un soprassalto, uno scossone che dimostri la volontà di non sprofondare nella "Gomorra" desolata dell’infamia. Come non ricordare le recenti parole del cardinale Sepe, all’inizio dell’Avvento: «Questa città, nella quale sperare non dovrebbe essere più un lusso o, peggio ancora, un rischio, bensì lo stimolo per progettare e realizzare il bene comune, vorremmo vederla "rivestita delle armi della luce"». Che questo possa finalmente realizzarsi dipende anche dai napoletani: è stata rimossa l’immondizia dalle strade, ma non è stata cancellata quella che soffoca tanti cuori e che continua ad aggredire le istituzioni. Il Natale però rinnova la certezza che nulla è irredimibile: la pace resta promessa a tutti gli uomini «che Dio ama». A noi la responsabilità di testimoniarlo. Con l’augurio più vivo alla signora Riccio, a lei e a tutti i napoletani: provvedano a riscattare il proprio onore ricollocando la targa in memoria di Giuseppe e, seguendo il suo consiglio, magari, il Comune gli dedichi davvero una strada.
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