
La scena di un delitto di Camorra a Napoli - Ansa
A Napoli si continua a morire ammazzati. Le guerre in corso nel mondo, con le disumane notizie che, quotidianamente, ci giungono; le numerose immagini di fagotti bianchi, macchiati di sangue, portati in braccio da qualcuno che scappa dal luogo del bombardamento per non correre a sua volta il rischio di finire dilaniato, ci stanno pericolosamente abituando al puzzo di morte che emana da questi grandi cimiteri sotto le magnifiche stelle. Di fronte a cotanto scempio di vite umane, la morte di una sola persona potrebbe passare inosservata. Napoli non è una città della martoriata Ucraina né della Palestina. Non è un Paese in guerra. Ed è incredibilmente affascinante, con un clima mite e dolce. Non a caso i turisti, ancora una volta, l’hanno presa d’assalto nel tempo di Pasqua. Eppure, a Napoli si continua a morire ammazzati nelle guerre tra i vari clan della camorra.
La camorra, già. Questa maledetta serpe velenosa di cui preferiamo non parlare quando, pur continuando ad angariare gli uomini e le istituzioni, smette di terrorizzarci sparando sui rivali e macchiando di sangue le nostre strade. Da più di due secoli la camorra non ci dà tregua. Ha cambiato tante volte la pelle, si è mimetizzata, ha fatto e disfatto alleanze con vicini e lontani, ha ammaliato i ragazzi a ogni generazione, ma non è morta né ha voglia di morire. A morire, invece, sono gli ingenui che hanno creduto alla sciocca favola che essa da sempre si sforza di raccontare. E cioè: chi ne fa parte non dovrà sudare per portare il pane a casa; tutto otterrà come per incanto: ville enormi e pacchiane, vacanze nei migliori mari nostrani e stranieri, vestiti di alta moda, scarpe – chissà perché i camorristi hanno un debole per le scarpe – costosissime e immacolate. Oggetti d’oro da esibire, soprattutto pesantissime collane – magari corone del rosario con tanto di crocifisso – orologi da polso, bracciali. Motociclette, macchine di grossa cilindrata prese a nolo, così da averne ogni giorno a disposizione una diversa. Sembrano fatti con lo stampino le nuove leve della camorra. Tutte uguali.
A un convegno degli psicologi nella Reggia di Caserta, al quale ho partecipato giovedì, ho ancora una volta ripetuto che questo tipo di abbigliamento, oggetti d’oro, modi di fare e linguaggi criptati, diventa un indispensabile feticcio cui sacrificare tutto. Se vuoi essere accolto nel gruppo, nel clan, devi assolutamente osservare le regole. Un po' come avviene con le diverse divise delle forze dell’ordine o di una qualsiasi aggregazione. Desiderio di appartenenza? Bisogno di distinguersi? Anche questo certamente, ma soprattutto necessità di incutere paura a chi di quel mondo non fa parte.
Finiscono nella rete maledetta i nostri ragazzi. Alcuni, “figli d’arte”, non hanno avuto la forza né la volontà di prendere le distanze dalle famiglie di origine e mettersi in salvo; hanno seguito le orme dei genitori, dei nonni, della parentela, del clan. Conveniva. A sentir loro, hanno messo in conto tutto, compresa la morte e la detenzione in carcere. Altri, invece, hanno iniziato a “lavorare” per il clan fin da adolescenti. La paga settimanale era assicurata. E anche la carriera. Si inizia facendo il manovale, ma poi si sale. E se sei veramente in gamba puoi arrivare molto in alto. Questa la promessa intrecciata alla menzogna. Questa la trappola mortale. Occorre, invece, fare i conti con le forze dell’ordine, con i clan rivali che bramano quello che tu possiedi, e – cosa peggiore – con gli affiliati allo stesso clan quando ti vedono salire i gradini della scala gerarchica e hanno paura di te. Invidie, gelosie, odi, vanità, orgoglio personale o di gruppo, bisogno di emergere, non lasciano in pace nessuno, in particolare chi ha dimenticato il dovere di fare il bene e si è assuefatto a fare il male.
A Ponticelli, nel rione Conocal, periferia est di Napoli, è stato ucciso Antonio De Cristofaro. Aveva solo 25 anni. Il quartiere è una di quelle zone cosiddette a rischio. Abbandonato dallo Stato per decenni, è diventato la roccaforte – cioè, una sorte di ghetto – dello spaccio, della malavita, delle illegalità, della sporcizia. Lasciati a sé stessi questi rioni scivolano verso il baratro. Intanto un altro giovane ha detto addio alla vita. Un'altra vita è stata stroncata a Napoli. Mentre preghiamo per i Paesi in guerra, facciamo di tutto per liberare dalla velenosissima camorra i nostri ragazzi prima di vederli stramazzare al suolo colpiti dalle armi dei loro vecchi compagni o di chi, per nascita, per scelta o per caso, aveva promesso obbedienza al clan avverso.