mercoledì 21 marzo 2012
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Ci sono scritti che dicono molto di più di quel che le parole impresse sul foglio e­sprimono. Il cui significato va oltre, spesso mol­to oltre, l’oggettività del testo. È questo esatta­mente il caso della sintesi dei risultati della Vi­sita Apostolica in Irlanda, diffusa ieri dal Vati­cano, nella quale è riportato quanto è emerso dalle ricognizioni alle quattro arcidiocesi, agli istituti religiosi e ai seminari irlandesi colpiti dallo scandalo degli abusi sessuali sui minori da parte di personale ecclesiastico. Un documento asciutto, in qualche senso – si potrebbe dire – non sorprendente, che si muo­ve su quella linea di rigore assoluto che la stam­pa ha sintetizzato nello slogan tolleranza zero, e che entro quest’anno arriverà a compimen­to con la stesura delle linee guida di cui ogni Conferenza episcopale è stata invitata a do­tarsi. E così, nel testo, si trovano ribaditi tutti i pun­ti di forza su cui quella linea è stata costruita con determinazione assoluta da Benedetto X­VI. A partire dallo schierarsi della Chiesa dalla parte delle vittime, premessa imprescindibile per ogni azione di purificazione, fino a tutti gli interventi da mettere in atto innanzitutto per prevenire il ripetersi di "tali atti peccaminosi", e poi per fronteggiare senza le titubanze, le in­certezze, le malintese "prudenze" del passato, l’eventuale ripetersi di episodi del genere. Il documento è, come detto, specificamente riferito alla situazione irlandese, ma è chiaro che il discorso vale ovunque. Ed è con questa prospettiva davanti agli occhi che diventa più facilmente leggibile il senso non scritto del te­sto licenziato ieri. Perché, appunto, è in que­sta prospettiva generale che si vedono con e­videnza la promessa, l’impegno e la certezza che con quel testo non tanto i visitatori, ma la Chiesa nel suo complesso, vuole esprimere. Con una determinazione che, in un mondo se­gnato dalla scandalosa piaga della pedofilia, nessun’altra realtà ha saputo sinora dimostra­re. Innanzitutto la promessa. Che è una promes­sa difficile, perché va contro tutte le tentazio­ni che, forse comprensibilmente ma non le­gittimamente, lo scandalo dell’abuso sui mi­nori può presentare. Ed è la promessa di non dimenticare quel che è successo, di non voler­lo dimenticare mai. Di non pensare a nessuna opera, diretta o semplicemente affidata al pas­sare del tempo, di rimozione. Nello scegliere di stare appunto dalla parte delle vittime, nel­l’assumersi il loro accompagnamento come dovere assoluto, c’è questa evidente volontà di farsi carico del peccato commesso da alcuni, senza elucubrazioni o distinguo sulla "reale portata del fenomeno". E portare assieme a lo­ro la croce, fino in fondo. C’è poi l’impegno , che inizia proprio da que­sta scelta. Impegno che va oltre le iniziative specifiche sul fronte della formazione e della informazione, in quanto è un chiamare la Chie­sa – che non è solo la gerarchia o i preti, ma tut­ta la Chiesa – a condividere questo percorso di guarigione, a farsene carico. Perché nessuno può mettersi alla finestra e dire: Guarda che hanno combinato, ma tutti devono sentirsi u­gualmente feriti e parte della colpa e, nello stes­so tempo, artefici del cambiamento. Infine, la certezza. Una certezza strettamente legata alla natura stessa dell’essere Chiesa, che – come anche quegli scandali hanno purtrop­po confermato – resta una realtà umana, con tutte le debolezze dell’umanità, ma trae la sua vera forza nella speranza che non delude, in Gesù Cristo che l’ha fondata e continuamen­te, nella storia, le infonda la capacità di rinno­varsi. Senza queste certezza, resterebbe solo la "tolleranza zero". Uno slogan. Ma qui ci sono di mezzo la misericordia e la giustizia di Dio.
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