sabato 8 ottobre 2011
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Come Gomorra. Peggio di Gomorra. Veleni, morte, affari. Ecco a voi l’inferno dei Casalesi. Ma anche di “furbi” e spregiudicati imprenditori del Nord. Una mega–discarica di rifiuti pericolosi, forse anche radioattivi. A pochi metri dal fiume Volturno. E al di sopra un centro ricreativo, bar, ristorante, perfino un maneggio. Immagini idilliache sopra un “buco nero” di morte. Castel Volturno, ancora una volta. Terra di saccheggi e violenze (ricordate la strage dei sei africani di tre anni fa?). Di speculazioni edilizie e di emarginazione. Ma anche zona turistica. Per anni piccolo gioiello, poi devastata e oggi alla ricerca di una rinascita.Ma il passato ritorna. Viene letteralmente a galla quello che è stato fatto negli anni 90, qui, a Castel Volturno come nel resto del Casertano, soprattutto nell’Agro Aversano e lungo il litorale Domizio. Qui, in una terra per decenni ”sversatoio d’Italia”. Comoda pattumiera dei rifiuti scomodi del Nord e grande affare della camorra che, qui, vuol dire clan dei casalesi. E proprio un collaboratore di giustizia del clan, Emilio Di Caterino, ha permesso di svelare questa nuova terribile vergogna. «Sapevamo da anni che anche qui erano state interrate tonnellate di rifiuti tossici, ora ne abbiamo le prove», ci spiega un magistrato tra i più impegnati nelle inchieste sulle ecomafie. Storie vecchie ma ancora attuali, come i miasmi che sono usciti dal terreno dopo i primi sondaggi. Come l’altra “antica” discarica che un altro collaboratore di giustizia, Roberto Vargas, ha fatto trovare recentemente nel pieno centro di Casal di Principe. Anche lì tonnellate di rifiuti provenienti dalle imprese delle regioni settentrionali.Pecunia non olet, e tantomeno i rifiuti per questi “signori”. Che non potevano non sapere. Smaltire regolarmente i rifiuti pericolosi costa molto, perché va fatto bene con tutte le precauzioni necessarie. Se qualcuno si offre di farlo a prezzi stracciati bisognerebbe sentire subito forte puzza di bruciato. Proprio come i fuochi che ancora oggi, illuminano e inquinano le notti di queste aree: gli “inceneritori” della camorra. Ma quella puzza per decenni non la si voluta sentire e un’interminabile fila di tir ha viaggiato tra Nord e Campania. Ingrassando le casse dei casalesi, in particolare del gruppo guidato da Francesco Bidognetti, detto “Cicciotto ‘e mezzanotte”, del quale faceva parte proprio Di Caterino. Un gruppo che ha inventato l’idea stessa di «ecomafia». E ora chi pagherà? Chi pagherà la morte di un territorio, la salute spezzata degli abitanti, l’economia vandalizzata? Proprio pochi giorni fa la più famosa inchiesta degli anni 90 sui rifiuti, la famosa “Cassiopea”, si è chiusa con una raffica di prescrizioni. Tutti impuniti grazie a lentezze, ostacoli, assurdi cavilli. Errori? Forse. Ma soprattutto la sottovalutazione di un gravissimo reato. Per colpire ecomafiosi, camorristi e furbi imprenditori servirebbero più mezzi, legislativi e tecnici. Servirebbe, finalmente, l’inserimento dei reati ambientali nel Codice penale. Più strumenti a magistratura e forze dell’ordine, che pure su questo fronte hanno fatto e fanno miracoli.La lotta alle mafie è fatta di gesti forti e veri. Meno parole, meno polemiche e più fatti concreti. Non è solo una coincidenza che ieri a Torino sia iniziato il seminario di studio sulle “Mafie al Nord” organizzato da Libera con la partecipazione di magistrati, tecnici, professori, esperti. Per denunciare cosa non va nella lotta ai clan malavitosi e proporre concrete soluzioni. Nord e Sud, ancora una volta. Lungo quella direttrice che ha portato i veleni nelle terre campane ora corre la voglia di cambiamento. Ai politici il compito di ascoltarla. Senza aspettare che una nuova discarica venga a galla.Si cominci davvero la bonifica dei siti inquinati (troppi anche qui i ritardi e i soldi finiti chissà dove…). E magari, come Avvenire chiede già da anni, con l’aiuto del Nord. Sarebbe giusto,  sacrosanto. Un risarcimento, minimo, per chi è stato avvelenato.
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