Michelle Obama, la mamma in capo e il suo non-congedo
sabato 7 gennaio 2017

«Credete in voi stessi, datevi la possibilità di una buona istruzione. Poi costruite un Paese che si meriti le vostre illimitate capacità». Ancora: «Non lasciate che nessuno vi faccia sentire come se non contaste niente, come se non ci fosse posto per voi nella nostra storia americana, perché voi lo avete, il posto. E avete il diritto di essere esattamente chi siete». Un discorso particolarmente ispirato, l’ultimo di Michelle Obama da first lady. Ventuno minuti con le lacrime agli occhi, venerdì sera, parlando dalla Casa Bianca in occasione della premiazione dei migliori school counselor del Paese, i professionisti che si occupano di assistere gli alunni nel percorso di studio. Li ha ringraziati perché dimostrano ai ragazzi «che anche loro valgono, che hanno qualcosa da offrire», non importa da dove vengano, in cosa credano e in quale lingua parlino a casa. «Le nostre diversità di fedi, colori e convinzioni non sono una minaccia a ciò che siamo: sono ciò che ci rende ciò che siamo». Un appassionato elogio della diversità, hanno notato i grandi network giornalistici statunitensi, alla vigilia dell’insediamento di un nuovo presidente con idee differenti e spesso contrastanti.

Il tono di Michelle Obama non era però quello della tenzone politica, bensì quello della mom in chief (la mamma in capo, accanto al comandante in capo, Barack), come lei stessa si definì 8 anni fa, nelle prime interviste, facendo inorridire una buona porzione di femministe a stelle e strisce.

Una «normale» mamma che vuole vedere i suoi figli vincere la sfida della vita, li sprona e nel farlo usa parole già sentite, quasi una (probabilmente inconsapevole) citazione di Giovanni Paolo II: «Non abbiate paura, concentratevi. Siate determinati. Abbiate speranza». «Anche se la vostra famiglia non ha molti soldi, voglio ricordarvi che in questo Paese moltissime persone, tra cui io e mio marito, hanno cominciato con molto poco, ma che con tanto duro lavoro e una buona istruzione tutto è possibile, anche diventare presidente. Questo è il sogno americano».

Nel 2008 l’elezione dell’afroamericano Obama rispolverò l’epica – e anche, perché no, la retorica – del Paese delle infinite possibilità. Otto anni dopo, Michelle Robinson esce dalla Casa Bianca ricca di una popolarità mai raggiunta da nessuna moglie di un presidente in scadenza e forte dell’approvazione di due americani su tre. Nei due mandati del marito, ha abbracciato cause popolari ma non così scontate per gli Stati Uniti, dalla lotta all’obesità infantile attraverso una alimentazione equilibrata e un sano movimento fisico all’impegno a favore dei veterani e delle loro famiglie. Con Barack è stata preziosa e concreta testimonial dell’importanza dell’istruzione e della presenza costante e partecipe dei genitori nella crescita dei figli. Ora, nel consegnare a Melania Trump le chiavi della Casa Bianca, rievoca il sogno americano, confessa che «essere stata la vostra first lady è stato il più grande onore della mia vita», spera «di avervi resi fieri di me» e infine promette ai giovani: «Io sarò con voi, tifando per voi e lavorando per aiutarvi per il resto della mia vita». E se il New York Times si interroga su quali progetti nascondano queste parole – politica? discorsi pubblici? un libro di memorie? il ritorno al lavoro da avvocato a Chicago? – la conclusione dei commentatori è più unanime: Michelle «è stata come nessun’altra».

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