Messa e pensieri d’Europa col cuore all’Amazzonia
domenica 16 febbraio 2020

Sull’Altare, come ogni sera, per stendere le mani sull’Ostia bianca e sul calice del vino. Come ogni sera, anche stasera, ho la pretesa di scomodare Dio. Non sempre la fame di quel Pane benedetto è tanta, a volte è appena percettibile, altre volte ancora sembra mancare del tutto. Ma Lui non ci bada. E viene.

L’Eucarestia: dono e mistero. Da quando è iniziato il sinodo sull’Amazzonia, il pensiero che milioni di fratelli vorrebbero partecipare alla Messa ma non possono, ha cominciato a martellare nel cuore con insistenza. Mi sembra di vederli. Mi appaiono come quei bambini malnutriti nei Paesi in guerra che si aggirano con la scodella vuota in mano. E la tendono verso coloro che dovrebbero provvedere a sfamarli, ma – ahimè! – non possono.

E la scodella è destinata a rimanere vuota. Mi appaiono così, le sorelle e i fratelli dell’Amazzonia, in tutto simili a noi. Stessi diritti, stessi doveri, stessi sentimenti, stessa identica fede. Stesso Dio, stesso amore alla Chiesa, alla terra, al Papa. Che importa se sei nato al di là dell’Oceano, delle Alpi o degli Urali? La sete è la stessa. Sete di senso, di pienezza, di eternità. Sete di Dio. Stesse domande. A Messa, come ogni sera, anche questa sera, un piccolo gruppo di persone. Fortunati? Privilegiati? Penso all’Amazzonia, alle sterminate foreste, ai milioni di abitanti. E la Chiesa, la nostra Chiesa, mi appare ancora più bella, radicata su una Roccia che nessuno si è inventata; in maestoso equilibrio tra forze diverse, pensieri diversi, culture diverse, economie diverse, santità diverse.

Così diversi, gli uomini di Chiesa, eppure una cosa sola. Il miracolo è questo. L’essere uniti è la grande sfida. Non a caso ce l’ha chiesta Gesù. Ut unum sint. Che siano una cosa sola. L’unità commuove anche i più distratti. È giusto che ci siano idee diverse; è umano, oserei dire, divino. Vuol dire che la Chiesa ha a cuore la libertà. È giusto argomentare, confrontarsi, dialogare; chissà, forse è giusto finanche alzare la voce. Ma quando, alla fine, la Chiesa parla, si esprime, noi dobbiamo tacere, per meglio ascoltare, meglio imparare, meglio interiorizzare.

Non importa se quel che dice ci convince, non importa se il nostro amor proprio è soddisfatto o calpestato, non importa se non è stato recepito nemmeno uno iota del nostro lavoro. Fa niente, la Chiesa vede più lontano di noi. Sull’Altare, la grazia mi ha condotto anche questa sera. È vero, per capire c’è bisogno degli opposti. Nel buio desideri la luce, nel freddo il tepore del calduccio, quando sei solo implori l’amico che ti tenga compagnia. Stasera celebro la Messa con il cuore e la mente rivolti all’Amazzonia.

Chi siamo noi per avere avuto in sorte tanta grazia? Chi siamo perché ogni giorno, in questa antica e supponente terra d’Europa, possiamo saziarci del Dio nascosto? «È piccola un’ostia e basta per un Dio», scriveva don Mazzolari. Da impazzire. Da stasera, allora, con la Chiesa che è in Amazzonia, vivremo ancor più in comunione. C’è chi semina e chi raccoglie, chi innaffia e chi estirpa le erbacce. A noi il Pane appena consacrato, a voi i frutti del Sacramento celebrato. Non è utopia. Questa 'alchimia' divina è la comunione. Addirittura è possibile realizzarla con i morti. Io lavoro, tu passa a ritirar la paga.

Dopo aver tanto discusso del sinodo sull’Amazzonia, adesso facciamo la nostra parte. Questa adesione è la missione. Non dimentichiamola, non voltiamo frettolosamente pagina. Chi può andare laggiù, vada, corra senza indugi a servire Dio nei fratelli più poveri. E chi, per età, salute, limiti vari, non può, non si scoraggi, non alzi bandiera bianca. Sulle ali della preghiera ci ritroveremo tutti. Santo Padre, che grazia! In questi giorni le distanze si sono accorciate, il mondo si è fatto più piccino, il cuore si è gonfiato di fraternità.

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