Sull’incidente dell’auto a guida autonoma
mercoledì 21 marzo 2018

Solo una fatalità. Oppure l’evitabile conseguenza della spasmodica ricerca del progresso tecnologico. Comunque si voglia interpretare l’investimento mortale di un pedone causato da un’autovettura a guida autonoma – accaduto lunedì negli Stati Uniti e primo della storia nel suo genere – mette di fronte a un dilemma morale. E a uno di prospettiva. Anche oltre la reale dinamica che lo ha provocato, cioè la probabile inevitabilità dell’investimento della povera vittima anche se la vettura non fosse stata guidata da un’intelligenza artificiale, come ha dichiarato la polizia che sta verificando i fatti.

E del particolare (forse ininfluente ma inquietante) riferito da fonti statunitensi che il tecnico a bordo dell’automobile e incaricato di supervisionare il test fosse una donna con pesanti precedenti penali. Comunque sia, anche l’inchiesta procederà al buio non esistendo un preciso quadro legale per accertare e attribuire le eventuali responsabilità. Per non allontanarsi troppo da ciò che ci interessa focalizzare però, occorre ricordare che le vetture che guidano da sole esistono ed esisteranno proprio per una sola motivazione: quella di abbattere l’incidentalità.

O addirittura azzerarla entro il 2020, obbiettivo che si è autoimposto il costruttore della vettura responsabile della tragedia in Arizona. Un traguardo a dir poco ambizioso, che non ammette sperimentazioni che sacrifichino anche una sola vita umana. E che andrebbero quindi effettuate in condizioni di assoluta sicurezza. Al tempo stesso, è pur vero che la storia di qualunque invenzione tecnologica è purtroppo disseminata di vittime.

Ma in questo caso c’è un forte tasso di inaccettabilità per quanto accaduto e per quanto potrebbe nuovamente accadere se le nostre strade fossero popolate da mezzi comandati da robot senza la possibilità di un loro reale controllo. La ragione è che, come ha sottolineato Cade Massey dell’Università della Pennsylvania, gli esseri umani sono pronti a razionalizzare i propri errori e a essere ossessionati dagli errori di una macchina. Quando le persone cioè commettono uno sbaglio, spesso si convincono di sapere come evitare di ripeterlo anche se ci sono prove evidenti che non sapranno farlo.

Ma ad una macchina non si perdona mai nulla: l’assenza di cuore la condanna a prescindere. L’altra domanda inevitabile è questa: dovremo abituarci a convivere con innovazioni come il traffico stradale completamente automatizzato? In cielo, a ben pensarci, il pilota automatico governa già il 99% del tempo dei nostri viaggi aerei, ma la guida autonoma per terra non piace quasi a nessuno, anche se promette di diventare un grande affare per qualcuno. Oltre che la più grande rivoluzione della mobilità dopo l’invenzione del motore a scoppio. Rivoluzione per ora solo annunciata, perché ci vorranno decenni per vederla realizzata.

E per risolvere il già antico problema dell’etica della robotica. Perché un altro, successivo e grande interrogativo sul quale già si è aperto un ampio dibattito è questo: come reagirà il software di controllo della vettura nel caso dovesse decidere se investire qualcuno o qualcosa per salvare gli occupanti dell’auto? Cosa deciderà di fare il computer che in quel momento sta guidando al posto nostro? Domande che fino a ieri erano da film di fantascienza. E che invece oggi sono quanto mai attuali, e ci lasciano irrisolti e anche un po’ angosciati.

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