martedì 10 agosto 2010
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Non ci vorrà molto per capire se Futuro e libertà per l’Italia, la nuova aggregazione politica nata attorno a Gianfranco Fini per ora solo a livello parlamentare, riuscirà a trovare la necessaria compattezza e solidità per proporsi come attore stabile sul palcoscenico nazionale. Al tempo stesso si vedrà se, alla prima intesa di inizio agosto con l’Udc e l’Api (per l’astensione nell’aula di Montecitorio sul caso Caliendo), seguirà una più stretta saldatura, tale da condurre a un vero e proprio "patto di area", in grado di arricchire la nostra democrazia con una significativa e coerente offerta "dal centro". L’operazione non si presenta semplice per diverse ragioni, non ultima quella portata – o, meglio, riportata – alla luce nelle ultime ore dalla sortita sui temi etici del vice capogruppo finiano alla Camera Benedetto Della Vedova. A dire il vero, già l’esperienza delle ultime legislature ha dimostrato ad abundantiam la difficoltà di assemblare in uno stesso schieramento o addirittura in uno stesso partito formazioni diverse per genesi, cultura politica e tradizioni.Due volte – nel 1996 e nel 2001 – abbiamo assistito al fallimento delle coalizioni di centrosinistra, in entrambi i casi a guida Prodi. Ma già in precedenza, all’alba della cosiddetta Seconda Repubblica, era saltata in aria l’alleanza di Forza Italia con la Lega di Bossi e con essa il primo governo dell’attuale premier. E ora le scissioni prima dal Pd (i rutelliani riuniti nell’Api, i teodem che hanno scelto l’Udc) e poi dal Pdl (i finiani del Fli) tornano a confermare i limiti e la fragilità intrinseca di un bipolarismo all’italiana che si voleva far evolvere forzosamente in bipartitismo. Trova così spazio nelle attese e nelle manovre politiche la suggestione "terzopolare" o comunque di un’alleanza (o un soggetto unico) in grado di far crescere nel nostro sistema politico il tasso di equilibrio, di moderazione, di riferimento valoriale certo e di coinvolgimento degli scontenti del voto (quegli astensionisti che aumentano elezione dopo elezione).Ma, detto in parole povere, se le grandi "ammucchiate" da una parte e dell’altra non sono state in grado di reggere in forza del meccanismo del "tutti insieme contro gli altri", nulla assicura che il nuovo sviluppo sia più agevole soltanto perché si cerca di poggiarlo al centro anziché sulle ali. Serve di più. Serve – probabilmente – la chiarezza che in altre costruzioni politiche è mancata. Accanto al principio della moderazione, è difficile sfuggire a un’esigenza parallela e altrettanto cruciale: quella di un convincente grado di omogeneità sul terreno dei programmi, nell’attenta considerazione dell’area alla quale ci si rivolge.È difficile, pertanto, comprendere il senso dell’impegno assunto domenica con tanto fervore dal citato numero due dei deputati finiani. L’ex esponente radicale, ad appena tre giorni dal primo suggello parlamentare dell’ipotesi di "terzo polo", già preannuncia iniziative legislative per legittimare le unioni gay, avviare lo smantellamento della legge 40 sulla procreazione assistita e, di fatto, azzerare il disegno di legge sul fine vita, approvato da quasi un anno e mezzo al Senato e ancora in surplace a Montecitorio. È quasi inutile sottolineare quanto sia arduo aggregare su questi temi sensibilità e risorse che, per il loro radicamento culturale e la loro collocazione storica, sono totalmente incompatibili con simili obiettivi.Vale la pena di ripeterlo: in democrazia vige sempre la regola di esaminare con attenzione e rispetto tutti i contributi che vengono ad arricchire e a meglio articolare l’offerta politica a disposizione dei cittadini, ma non si può mai prescindere dalla massima limpidezza delle posizioni e dalla loro intima coerenza con il disegno evocato.
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