martedì 28 ottobre 2008
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Lo scenario che ci circonda avvalora pessimistiche previsioni. Le Borse non riescono (speculazione o meno) a frenare quella paurosa caduta che quotidianamente ingoia miliardi di risparmi, facendo vacillare persino alcuni colossi bancari che parevano inaffondabili; la crisi della finanza si è inevitabilmente ripercossa su economia reale, produzione e consumi. Financo il petrolio, ribattezzato «oro nero», ha perso in tre settimane oltre la metà del suo supposto valore. Scendendo da 149 a circa 60 dollari il barile, ha messo in difficoltà i Paesi produttori, dal Golfo Persico al Sud America alla Russia, che ritenevano di avere in pugno i destini del pianeta, comperando a man bassa, partecipazioni nelle maggiori imprese dell'Occidente. La bufera non risparmia l'Italia; né più né meno delle altre nazioni industrializzate, rese fragili da una conduzione spesso disinvolta. In alcuni casi avventuristica. Tuttavia in un cupo ottobre che per molti risvolti malauguratamente ricorda un altro tragico ottobre, quello del 1929, che generò (sempre partendo dagli Usa) l'epocale crisi degli anni Trenta, qualcosa si muove in controtendenza. Nel segno della determinazione a «non mollare». Nella consapevolezza che le crisi passano e i cicli economici, impossibili da interpretare, a un certo punto s'invertono. Pur evitando di fare concessioni a un ottimismo fuori luogo, va registrato l'atteggiamento dei sedici soci della Cai, Compagnia aerea italiana, che si erano impegnati a prendersi, riorganizzandola dalle fondamenta, l'ingestibile e prefallimentare Alitalia. La vicenda è annosa, di una complicazione estrema. Ridotta all'essenziale: allorché la cordata guidata da Roberto Colaninno scese in campo (fra maggio e giugno), il cielo era nuvoloso, senza però avvisaglie di bufera. Il turismo marciava, le industrie non avevano programmi di cassa integrazione o peggio, i consumi delle famiglie, che rappresentano il motore dell'economia, pur perdendo qualche colpo, reggevano. Ha duramente faticato la Cai a trovare il consenso dei sindacati sui sacrifici, ma col determinante appoggio della nostra più solida banca (Intesa Sanpaolo) l'ha spuntata. Il piano di rilancio ha preso corpo: certo limando le ambizioni della Nuova Alitalia, ma fornendole il necessario respiro per risalire la china. Attraverso anche la ricerca di un partner internazionale (Air France o Lufthansa), indispensabile a scongiurare una grigia e asfittica provincializzazione. Il governo, talvolta strattonando le «regole» di Bruxelles, ha fatto la sua parte. Consentendo alla vecchia Alitalia di continuare nel frattempo a volare, nonostante la crescente disaffezione della clientela. Rendiamo atto al coraggio della pattuglia di imprenditori. Con l'aria che tira, facessero retromarcia, potremmo forse accusarli di miopia, di «braccio corto»; senza però il diritto di stupirci. A investire oltre un miliardo in un clima di euforia e credito facile, sono buoni tutti. Ma nelle condizioni attuali? Qui sta la novità, offerta dai sedici della Cai. Continuare a credere fortemente nel progetto e non mollare, nonostante le avversità. Volano, è il caso di dirlo, nella nebbia. Se mettono in gioco le loro loro facce e i loro soldi, hanno da avere un radar nascosto. Probabilmente un esempio raro per una categoria (gli imprenditori) che di norma punta alla resa immediata. Sì, da quest'oggi Colaninno & co. dovranno nuovamente vedersela con sindacati, banche, politici, Comunità Europea; schiodare i nodi di Fiumicino e Malpensa; decidere fra Parigi (Air France) o Francoforte (Lufthansa), per non ghettizzarsi. Strada impervia, in salita. Auguriamoci che tutte le parti in causa comprendano la portata della posta in gioco. Questi Sedici non sono dei samaritani (quando mai?) eppure sono, se non gli unici, fra i pochissimi, in questo momento, a mostrare ancora fiducia in una ripresa dell'economia. Evitiamo di costringerli a gettare la spugna.
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