martedì 20 luglio 2010
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Per chi ama il Sud, intristisce dover tornare a scrivere e parlare di Malasanità. Ma certamente fa più male al cuore pensare che quella neonata calabrese non ce l’ha fatta dopo una corsa in auto nel grembo di sua mamma da Amendolara a Trebisacce perché il reparto di ostetricia e ginecologia è stato chiuso un anno fa; perché non c’era un’ambulanza che la potesse trasportare velocemente dal pronto soccorso di Trebisacce all’ospedale di Rossano; perché ancora in auto i familiari hanno dovuto trasportare la giovane donna con il suo prezioso "dono" nel traffico caotico della statale jonica costellata di mille pericolosissimi incroci. Poi si arriva all’ospedale giusto, ma il tempo è passato e non fa sconti a nessuno, nemmeno a una giovane vita che vuole solo sbocciare. La diagnosi, «distacco della placenta», impone il cesareo.La neonata ha sette mesi, normalmente dovrebbe sopravvivere, ma… Intubata, si tenta il trasferimento della piccola in elicottero all’ospedale di Cosenza, ma è troppo, troppo tardi. Due ore, fanno i conti i familiari disperati. Due ore maledette. Nelle loro parole, dal racconto dei cronisti, c’è rassegnazione, quasi che questo sia il prezzo da pagare al vivere in questo lembo di Sud, in questa striscia di terra dalla quale in tanti sono costretti a fuggire anche perché manca l’essenziale, quello che altrove è comunque garantito. I manager della sanità, nel loro linguaggio tecnocratico, li chiamano standard assistenziali. E certamente anche a loro si sono ispirati i politici federalisti quando hanno varato il criterio dei costi standard delle prestazioni. Tutti uguali, da Nord a Sud, com’è giusto che sia. Peccato che, a quello stesso prezzo, al Nord si nasca e lì, in fondo allo Stivale, si muoia nascendo. Verrà il giorno in cui anche al Sud si potrà nascere tranquillamente? Chissà… Che tutto questo accada in una delle quattro Regioni italiane, tutte centro-meridionali e sorvegliate speciali per il deficit sanitario, è solo un caso? No, è difficile negarlo. C’è qualcosa di malato, gravemente malato nel sistema sanitario meridionale. E deve indurre anzitutto i meridionali e le loro classi dirigenti a voltare pagina. Se ci è consentito un paradosso, è addirittura indecifrabile come le Regioni del Sud abbiano incassato senza battere ciglio la logica dei costi standard. Per assurdo, o sono convinte di poter continuare nelle loro pratiche finanziarie a dir poco suicide o hanno una carta da giocare in grado di cambiare tutto. Il che significherebbe, d’un colpo, allontanare la politica e i suoi maneggi dalla gestione della sanità, restituire efficacia ed efficienza a tutto il settore ribaltando la logica attuale che le vede spendere di più e garantire servizi peggiori, rendere la macchina della sanità meridionale immune alle infiltrazioni delle mafie. Spesso ci si chiede, e il governo non può non saperlo, perché in Calabria anche il più banale strumento sanitario costi il doppio o il triplo del Nord. Forse basterebbe solo chiedere informazioni a chi ha già indagato e conosce per nome e cognome chi ha "costruito" quei prezzi e con la forza li ha imposti a tutto il mercato regionale. Avete mai sentito parlare dei centri unici di spesa? Già questo darebbe una spallata alle mafie, sempre che non siano proprio loro a "governare", con i prestanome, quei centri di spesa.Ecco perché questa vicenda dolorosissima che vede ancora una volta protagoniste la Calabria e Rossano (ricordate la drammatica vicenda del bimbo sopravvissuto all’aborto e abbandonato per 24 ore senza cure?), interpella le coscienze dei meridionali ma anche quelle di chi ha a cuore uno sviluppo solidale. Parlare di Italia unita quando già si è diversi al solo atto della nascita, è un paradosso. Un drammatico, dolente paradosso.
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