giovedì 4 ottobre 2012
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Tre ottobre 2012, il giornalista che co­me ogni mattina scorra diligente­mente i quotidiani affronta anche stavol­ta una rassegna pressoché monotemati­ca. «Via i condannati dal Parlamento». «Ca­se e auto con i soldi pubblici». «Fiorito ar­restato, trema il Pdl». Senza tralasciare le ultime notizie on line: «Riscuoteva l’Ici ma intascava i soldi, in manette l’ad di "Tri­buti Italia"». E, ancora, «La Finanza negli uffici di Federazione gioco calcio e Napo­li ». Sfogli e leggi cronache in cui pare non si salvi nessuno, o quasi. E per quanto tu sappia, tu sia certo, che a fronte di queste storie c’è un’altra Italia, più grande, silen­ziosa, che ogni mattina va a lavorare, stu­dia, cresce i figli, sembra un’evidenza che la corruzione, in politica e non solo, sia nel Paese a livello di metastasi. A quale esito può condurre questa percezione? La raffi­ca di vere, o presunte, concussioni e cor­ruzioni, questa macchia che si allarga in­contenibile, che cosa genererà se non smarrimento e rabbia, l’humus dell’anti­politica? Leggere i giornali, in questo au­tunno 2012, o induce alla desolazione, o spaventa. Quasi distrattamente infine apri l’ultimo, "L’Osservatore romano". Ti cade l’occhio su due righe in prima pagina: leggi di «u­na profonda dimenticanza di Dio», di una «incuria dei comandamenti di Dio» che permea la vita della gente. Però, un verbo al passato non ti torna; leggi con più at­tenzione, scopri che l’Italia di cui si parla è il Medioevo descritto da Tommaso da Celano, primo biografo di san Francesco. Intorno all’anno 1200: anche allora la vita pubblica e privata non splendeva di virtù né di fede, pare di capire. Tanto che Tom­maso da Celano parla di Francesco come « novus evangelista », mandato a risveglia­re uomini sordi e lontani. Dunque, in quel secolo remoto ma pure dimentico, qualcosa accadde che generò una spinta spirituale contraria. Accadde che nacque un bambino da una famiglia di mercanti; un figlio di ricchi, orgoglioso; cercò le glorie che cercavano gli altri; poi, si innamorò di Cristo («portava Gesù in tutte le sue membra», testimonia Tomma­so da Celano). Francesco generò una fa­scinazione profonda, la conversione di molti, e uno sguardo sul mondo che ancora oggi provoca e seduce. Fu un uomo che intersecò la storia lasciandosi dietro un’im­pronta forte: nei secoli, quanto è stato da­to, dai religiosi e missionari francescani. Chiudi 'L’Osservatore' e torni alle crona­che nostre, a questa Italia ridotta a ban­chetto di voraci avventori (anche se tu hai memoria, sei certa anche di altre facce: co­me certi professori di scuola, come il tuo medico Asl, in studio dieci ore al giorno). Ma se la metastasi è diffusa, se il «coma e­tico » – per tanti – è autentico, noi non pos­siamo entrare nel coro che dice che 'tut­to è marcio', che tutto è corrotto e tarlato, e che nella palude non si intravvede un so­lo punto di terra ferma e sana. Per fede, e per memoria, noi sappiamo che in ogni tempo il Dio cristiano, Dio che con gli uo­mini 'c’entra', opera nella storia. E tutto ricomincia con la faccia di un uomo. (Pensiamo solo a uno che abbiamo visto con i nostri occhi occhi: quel ragazzo po­lacco sopravvissuto alla guerra e all’occu­pazione nazista, quell’uomo che alzò la Croce davanti agli operai di Nowa Huta, quel Papa che in milioni piansero, a San Pietro). Tutto ricomincia, anche mentre noi uomini, ostinatamente, continuiamo a dimenticare. Ma i cristiani non possono arruolarsi nelle file della amarezza e del nichilismo. Perché c’è un’altra storia, che non viene riconosciuta mentre accade. Di Francesco non sappiamo neanche esattamente se è nato nel 1181 o nel 1182: non era una notizia, un figlio nuovo di una piccola patria, in casa di un mercante, ad Assisi. Dell’uomo di cui celebriamo il dies natalis oggi, ottocento anni dopo, non conosciamo il giorno in cui esattamente venne al mondo. Nessuno se ne accorse: da una casa il vagito di un neonato, uguale ad altri mille. L’altra storia ha una trama carsica, a lungo impercettibile, che solo nel tempo affiora. Ma resta incisa come un’orma profonda – quando le grida, il rumore e le parole effimere sono inghiottite dal tempo, e passate.
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