Ma non si è figli perché non si sbaglia
martedì 26 febbraio 2019

La nota ufficiale con cui Comunione e Liberazione accompagna la vicenda di Formigoni è bellissima ed è bellissima perché è cristiana. Trattandosi di un movimento ecclesiale – perché Comunione e Liberazione è prima di tutto, non dimentichiamolo, una compagnia di cristiani – questa affermazione può apparire ridondante, pleonastica: nulla di più ovvio che dei cristiani facciano delle considerazioni “cristiane”. E invece non è così ovvio.

«“Se un membro soffre – dice il comunicato di Cl – tutte le membra soffrono insieme” (san Paolo). In questo momento soffriamo insieme a Roberto Formigoni, nella consapevolezza che solo Dio può ultimamente e veramente vedere il cuore dell’uomo e può rispondere al bisogno di misericordia che tutti abbiamo. Lo accompagniamo con la preghiera in questa circostanza per lui così drammatica, che viviamo come un potente richiamo alla conversione di ciascuno di noi. Nessuna prova può cancellare la compagnia che Cristo fa alla nostra vita, consentendoci di ricominciare sempre, nell’umile certezza che tutto collabora misteriosamente al bene: questo è ciò che domandiamo al Padre per Roberto e per noi».

L’infinitamente cristiano che emerge da queste parole non è la citazione di san Paolo, ma la compagnia che viene offerta a un proprio membro anche quando, secondo i giudici, è colpevole. Perché non è raro che in questi casi anche le istituzioni cristiane, contravvenendo agli insegnamenti del Maestro, comincino il balletto delle prese di distanza. Dei distinguo. “È vero che è dei nostri ma agiva a proprio nome”. “È dei nostri, ma all’epoca dei fatti era come non fosse già più dei nostri”. Si potrebbe continuare a sciorinare perifrasi come queste, perché una retorica ben conosciuta fornisce alle istituzioni imbarazzate interi armamentari di precisazioni che emendano dai rossori, e lasciano intendere che i meriti e le vittorie sono di tutti, ma gli errori e i peccati sono sempre e solo dei singoli appartenenti.

È noto come la genealogia di Cristo (Mt 1,1-17) non si esima dall’intrecciare santi con adulteri, persone fedeli con prostitute e idolatri. Noi invece, quando qualcuno dei nostri sbaglia perché pecca, subiamo immediatamente il fascino del chiamarci fuori. Che, per noi cristiani, è un fatto gravissimo. Perché noi – noi credenti nel Dio Uno e Trino – sappiamo perfettamente che nessuno di noi è separato da un altro, che siamo tutti interrelati, collettivi, partecipiamo sia delle fortune sia delle sfortune. È importantissimo, infine, sottolineare come questa azione di solidarietà a Formigoni sia ufficiale, cioè sia prodotta da chi governa il Movimento di Comunione e Liberazione. Quando l’azione pubblica di chi governa si ritrae facendo intendere che è venuto il momento “del volontariato misericordioso”, si finisce per incentivare la marginalizzazione del perdente, di chi ha sbagliato.

All’inizio starà vicino al peccatore qualche volenteroso della pacca sulla spalla, ma poi il poveretto sarà lasciato solo: solo a morire. Quando un proprio membro sbaglia, chi è a capo della comunità non è sufficiente che si esima dal non condannare: deve esprimere apertamente solidarietà con il fratello. Che non significa dire se ha sbagliato o meno, perché quello è un giudizio che in Cielo va lasciato a Dio e sulla terra a chi ne ha le competenze, ma significa sapere che si è figli anche quando si sbaglia. Non si è figli “perché non si sbaglia”, ma si è figli per un’essenza generativa incancellabile.

In casi come quello di Formigoni il semplice tacere non equivale a non condannare, ma favorisce implicitamente una mobilitazione contro chi ha sbagliato (sempre parlando in astratto, senza entrare nel merito della questione) che in tal modo diventa un soggetto pericoloso per “l’ordine pubblico” interno al Movimento. Si finisce così per predicare l’accoglienza per il povero e il bisognoso, ma poi nei fatti si crea una realtà che emargina – e alla fine espelle – il più sfortunato, il più debole, il più peccatore.

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