sabato 27 novembre 2010
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PERCHE' MARONI Sì E I MALATI NO?Caro direttore,avevo salutato con entusiasmo la prima puntata di "Vieni via con me", ma ora l’entusiasmo è venuto meno, non tanto per la puntata dedicata ai casi Welby-Englaro ma per il fatto di aver definito "inaccettabile" la richiesta del Cda della Rai di ospitare le associazioni pro-vita. Perché Fazio e Saviano non intenderebbero concedere uno spazio anche alla posizione pro-vita? La motivazione addotta sarebbe la seguente: «L’obbligo di replica ci pare lesivo della libertà autoriale, della libertà di scelta del pubblico, e soprattutto della libertà di espressione». E allora perché è stata concessa la replica a Maroni? Perché usare due pesi e due misure? Forse perché un ministro conta di più di una persona in stato vegetativo? Caro Fazio, perché insisti nel voler fare una brutta figura? Caro Saviano, tu che sfidi la camorra, hai paura di dare la parola ai familiari e alle associazioni delle persone gravemente disabili o in stato vegetativo? Se la ’ndrangheta chiedesse di replicare alle tue accuse, sarebbe giustificato il rifiuto, ma perché negare il diritto di parola in questo caso? Per favore, anche per porre fine alle polemiche ed essere più credibili nelle denunce, ripensateci e fate la cosa giusta, cioè dare voce a chi non ha voce!Luca Salvi, VeronaGRAZIE ANCHE PER IL «TONO»Caro direttore,la ringrazio per il suo articolo "Inaccettabili ", non solo per la profonda difesa di chi, in una indicibile sofferenza, non ha voce né sostegno, ma anche per il tono scevro da qualsiasi aggressività e ironia che spesso mina alla base tante giustissime iniziative. Chi convive quotidianamente con persone di diverso sentire sa quanto il tono sia importante per avviare un colloquio e trovare uno spazio comune in cui poter dialogare. Con riconoscenza al giornalista e direttore la saluto cordialmente.Adriana PrevidiDISSENTO: LEI DCRIVE CON ASTIOCaro direttore, la mia è una mail controcorrente, perché voglio esprimere il mio dispiacere e la mia sofferenza nel leggere il suo editoriale "Inaccettabili". Non voglio entrare nel merito: ognuno è libero di scrivere ciò che ritiene giusto, articolando le argomentazioni ritenute coerenti con l’esposizione del pensiero di fondo. Ma le vere cose "inaccettabili", a mio parere, sono la protervia e la cattiveria che si respira nel suo pezzo, dall’inizio alla fine. L’amore, quello che viene dall’Amore, è un’altra cosa e si affida a tutt’altre parole, anche quando si parla di chi la vede diversamente. E sa anche quando utilizzare altri canali di comunicazione e programmi televisivi per dire le cose ritenute giuste, ma sempre con umiltà e rispetto anche per le vite e le scelte degli altri, i diversi da noi. Questo ho capito in tanti anni di frequentazione di messe, di parrocchia, di Azione cattolica e di letture dei padri della Chiesa, antichi e moderni.Franco Abbenda, Sezze (Lt)Saluto e ringrazio tutti gli amici lettori – anche coloro che non stanno trovando spazio in questa pagina – per i bei pensieri, per i sentimenti profondi e veri che esprimono, per la condivisione del nostro lavoro di giornalisti e il nostro civile impegno. Ringrazio anche il signor Abbenda per aver espresso a sua volta in modo civile un pur aspro, inesorabile e fiammeggiante dissenso. Trovo un po’ superficiale la sua lettura di Avvenire e soprattutto (ma non sono il giudice di me stesso) un po’ eccessivo definirmi "protervo" e "cattivo" in ciò che scrivo. Posso solo dire che il parere di molti altri mi rincuora, e mi conferma.Post Scriptum – Ieri sera, intervistato dal Tg3, Fabio Fazio ha speso molte parole per dire di nuovo «no» ai malati e alle loro famiglie. E ha spiegato che «alle storie (dei coniugi Welby e di Beppino Englaro) non si replica con opinioni». Infatti. Noi di Avvenire non abbiamo chiesto, raccogliendo le voci negate dei malati e dello loro famiglie di «replicare» con «opinioni», ma di far parlare altre storie. Storie di malattia, di lotta e di vita non suggellate da una richiesta di morte procurata. Quelle che Fazio, anche a nome di Saviano, continua a non considerare degne della sua narrazione televisiva di successo. Nel nome, dice, della «libertà autorale». Ma quale libertà è quella che giudica «inaccettabile» la verità?
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