Ma divisi non si va alla meta
sabato 30 ottobre 2021

Il G20 che si apre oggi a Roma sarà circondato da un cordone di sicurezza imponente. I timori di azioni dimostrative, e anche violente, sono cresciuti negli ultimi giorni. Che il vertice in presenza dei leader (anche se mancheranno Xi Jinping e Putin, assenze non da poco) torni ad attirare l’attenzione dei movimenti di piazza può essere un segnale da cogliere al di là dell’emergenza per l’ordine pubblico. Si è detto che la pandemia ha riportato gli Stati al centro della scena e il loro ruolo è tornato preminente nel guidare la vita dei cittadini, proprio quando sembrava che i mercati e le aziende globali avessero preso il sopravvento nel plasmare i destini economici e sociali di tutti noi. Ma ci stiamo rendendo conto che i meccanismi di mercato hanno fallito nel preservare l’ambiente naturale e nel rispondere efficacemente alla crisi indotta dal diffondersi del Covid-19.

Su questi fronti le entità politiche nazionali e sovranazionali (nel caso della Ue) hanno la possibilità di incidere in modo significativo e in parte lo stanno già facendo. Per questo crescono attenzione e attesa (e anche protesta, più o meno motivata) intorno al summit. I Paesi del G20 includono tutte le principali potenze e assommano circa l’80% delle emissioni corresponsabili del riscaldamento della Terra. I capi di governo che sederanno intorno al tavolo hanno un’agenda di temi che non sono contingenti e non permettono rinvii o accordi di facciata.

Il mondo brucia, letteralmente. Gli scenari dipinti da un aumento delle temperature medie oltre il grado e mezzo – che è ritenuto l’obiettivo necessario della prossima Cop26 a Glasgow – includono, tra l’altro, una forte crescita dei giorni in cui il termometro toccherà 50 gradi, condizioni in cui la normale vita quotidiana è di fatto impedita se non si ha la fortuna di godere di qualche ausilio tecnologico. Il mondo è malato, letteralmente. E se non si rendono disponibili rapidamente vaccini anti-Covid per tutti gli abitanti de Pianeta, altri milioni di morti potrebbero registrarsi nelle nazioni dove la profilassi è attestata ancora su percentuali bassissime della popolazione e varianti del virus potrebbero diffondersi nuovamente su scala globale. Le nazioni sono divise e vedono crescere le tensioni, letteralmente. Dalla sfida su Taiwan che ha fatto rispolverare un arsenale lessicale da guerra fredda fra Cina e Stati Uniti alla ferita dell’Afghanistan, dove un regime liberticida sta portando alla fame decine di milioni di persone, le aree di grave crisi vedono contrapposizioni di difficile composizione.

La presidenza italiana ha posto in "tre P" – persone, pianeta e prosperità – il cuore dell’agenda, a significare l’interconnessione tra gli aspetti relativi alla salute, allo sviluppo sostenibile e all’inclusione verso l’obiettivo di condizioni migliori per tutti. Ogni vertice ha le proprie priorità e non può essere pienamente risolutivo, ma quello odierno è certamente un banco di prova per il futuro, stante la stretta contiguità anche temporale con la conferenza sul clima che si apre domani n Scozia. E se la riguadagnata centralità degli Stati può essere salutata come positiva, essa ripropone anche i problematici nazionalismi che spesso si accompagnano al protagonismo degli Stati stessi. Per questo, al di là dei toni di soddisfazione che caratterizzeranno le conclusioni del vertice, un certo pessimismo realista ne segna la vigilia.

Sull’azzeramento delle emissioni entro il 2050 vi sono forti resistenze che vanno dalla Cina all’Australia. Sulla revoca temporanea dei brevetti sui vaccini – che permetterebbe produzioni in loco e migliore distribuzione – non si annunciano cedimenti dai molti Paesi che preferiscono la formula delle donazioni, sempre aperte a successivi ridimensionamenti.

Sull’Afghanistan le tentazioni di estendere sfere di influenza – da Mosca a Pechino – frenano lo sforzo umanitario internazionale. Rischiano di restare inascoltati gli appelli di papa Francesco, mai fisicamente così vicino a un G20, per soluzioni condivise («nessuno si salva da solo»). E i pur generosi sforzi della guida del summit, il premier Mario Draghi, dovranno moltiplicarsi nelle ultime ore per strappare quel passo in avanti che ci si aspetta dal consesso dei leader.

Un’azione timida finirà per restituire il proscenio ad altri attori, decisi a interagire con il movimento di umana responsabilità, giovanile e in solo, che incalza i poteri irresponsabilmente lenti. Non a caso, poche ore prima dell’apertura dei lavori, Mark Zuckerberg annunciava il lancio di un mondo digitale – il Metaverso – capace di raggiungere in pochi anni un miliardo di persone e creare milioni di posti di lavoro. Mr. Facebook non fa beneficenza, e la sua mossa segnala solo la necessità di agire tempestivamente e insieme di fronte alle emergenze, vecchie e nuove. Quello che ci si aspetta oggi e domani dalla politica, cioè dai rappresentanti del 60% della popolazione del Pianeta.

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