giovedì 27 gennaio 2011
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Caro direttore, ho letto anch’io l’editoriale di don Patriciello («Sono un prete stufo di fango») del 23 gennaio e vorrei dire a questo sacerdote che la sua sofferenza è condivisa da noi tutti cattolici. Su questo non ci piove. Ma bisogna anche aggiungere una riflessione. Era inevitabile che una delle macchie più sporche che la Chiesa ha subìto nelle sua storia lasciasse un solco profondo e traumatizzante. Non è stato e non è un brutto sogno bensì una orrenda realtà di cui tutti noi cattolici dobbiamo pagare il conto soprattutto verso chi, si sa, attende sempre con ansia passi falsi della Chiesa. Non possiamo giustificarci anche se sappiamo che si tratta solo di uomini consacrati più a satana che a Dio, non fedeli, forse malati. Del resto, che cosa ci vogliamo aspettare dalla satira politica, di per sé cruda, irrispettosa e dissacrante, che da sempre usa il clero come bersaglio da colpire? Diciamoci la verità, senza troppe scuse: dobbiamo piuttosto scandalizzarci per quanta sporca violenza è stata commessa contro la persona – soprattutto contro bambini innocenti – e contro l’essere umano, di fronte alla quale un disegnino tragicomico e irriverente (fatto da chi peraltro non ha senso del sacro), con sopra due battute filmate per 10 secondi, è un ridicolo pezzetto di carta straccia!

Vincenzo B., Roma

Capisco il suo punto di vista, caro signor Vincenzo. E condivido la sua doppia sofferenza: per i sacerdoti che hanno – uso parole del Papa – tradito la loro missione e la fiducia dei piccoli (e perciò ne risponderanno a Dio e, qui e ora, alla giustizia degli uomini) e per quelli – infinitamente di più – che vengono invece infangati ingiustamente. Quello che non riesco proprio a fare mia è la sua indulgenza per certa satira ridotta a insulto e a insulto gratuito. Questa satira fa specchio, purtroppo, e comunque di certo non contraddice la tendenza a sacralizzare le dissacrazioni più feroci che, soprattutto se sono anticristiane, vanno sempre bene, e guai a chi obietta. E no! Noi obiettiamo. C’è, poi, dell’altro, ed è un ragionamento che a qualcuno potrà sembrare "terra terra": mi hanno insegnato, e non lo dimentico, che quando si sbaglia si deve saper chiedere scusa. So che questo riguarda chiunque, qualunque mestiere faccia, qualunque ruolo ricopra, e che la regola vale ancora di più per chi ha una forte visibilità pubblica e – nei diversi modi possibili – esercita "potere". So anche, gentile lettore, che chiedere scusa non è la cosa che ci viene meglio, ma qualche volta è davvero la sola cosa giusta da fare. La pessima vignetta di Vauro sul Papa, i preti, i pedofili e l’attuale capo del governo è stata un errore assai grave che ha fatto seguito ad altri gravi errori. Basterebbe ammetterlo (e non ricascarci). Aver suggerito di prendere questa via diretta, averlo fatto a più riprese, rivolto a diversi "volti" e ospiti di riguardo della nostra televisione, aver pungolato a rimediare e a evitare nuove offese a coloro che della qualità dell’offerta televisiva sono i responsabili, è parso a qualche collega e ad alcuni opinionisti un «anatema» o, comunque, una richiesta di censura. Ma andiamo... Le parole hanno un senso, nel bene e nel male. E metterla così significa alzare la solita vittimistica cortina fumogena di scuse per non dare scuse.
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