mercoledì 13 aprile 2016
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Schizofrenia significa 'mente divisa', nella sua etimologia greca, anche se la malattia così definita dallo psichiatra Eugen Bleuler non provoca la comparsa di personalità multiple. La schizofrenia nel senso letterale è invece una patologia che affligge l’Europa contemporanea, e ieri se ne è avuta la conferma più lampante. Non servivano infatti esperti politologi per coglierne i sintomi più manifesti, tanto palesi da risultare sconcertanti. Se la Ue fosse un paziente in carne e ossa, verrebbe da pensare che quella messa in atto sia piuttosto una simulazione realizzata ad arte. Ma tant’è. Scena prima: valico del Brennero, confine italo-austriaco (noi guardiamo da Sud). Operai avviano gli scavi per la costruzione di una barriera mobile che possa entrare in funzione dal primo maggio allo scopo di agevolare i controlli sul transito in entrata verso Vienna che, in base agli accordi di Schengen sulla libera circolazione, non dovrebbe invece avere ostacoli. Ma l’Austria teme l’arrivo di 300mila migranti extracomunitari, stima lievitata a quote irrealistiche forse per l’avvicinarsi della scadenza elettorale interna del 24 aprile, quando si sceglierà il nuovo presidente della Repubblica. Scena seconda: aula dell’Europarlamento a Strasburgo. La maggioranza assoluta dei deputati, due terzi dei presenti alla seduta, approva una risoluzione in cui si chiede una completa revisione del Trattato di Dublino, che dovrebbe permettere ai migranti di presentare le domande di asilo all’Unione Europea, considerata come entità unica, senza obbligarli al Paese di primo approdo. Il documento non vincolante votato ieri propone un sistema centralizzato, così da garantire la condivisione delle responsabilità tra gli Stati, la solidarietà e un esame più rapido delle richieste da parte di chi aspira allo status di rifugiato. I meccanismi attuali, si legge infatti nel testo, hanno «ampiamente mancato i due obiettivi primari: stabilire criteri obiettivi ed equi per l’attribuzione della competenza e assicurare un rapido accesso alla protezione internazionale». E mentre le ruspe si muovono al Brennero e le polizie pattugliano le barriere di filo spinato già erette al confine tra Bulgaria e Turchia, Austria e Slovenia, Serbia e Ungheria, Grecia e Macedonia – per limitarci ai Paesi dell’Unione –, almeno qualche deputato di quelle stesse nazioni dà luce verde al progetto di 'corridoi umanitari' «che consentano di trasferire i richiedenti asilo e i rifugiati dalle zone di conflitto ai campi profughi e ai Paesi di destinazione in condizioni dignitose e sicure». «L’immigrazione non va combattuta ma gestita», afferma una delle relatrici, l’eurodeputata italiana del Partito democratico Cécile Kyenge (l’altra è la maltese del Partito popolare europeo Roberta Metsola). Nelle stesse ore, sordo alle proteste internazionale, il governo austriaco, sostenuto dalle stesse forze politiche che a Strasburgo hanno promosso la risoluzione, conferma che procederà a mettere in pratica quanto già annunciato da settimane. Ma si tratta forse di una fisiologica dialettica tra istituzioni sovrannazionali, come è appunto il Parlamento europeo, e gli esecutivi dei singoli Paesi, ciascun attore mosso da interessi e prospettive diverse? Sarebbe qualcosa di maggiormente gestibile. In realtà, le 'personalità multiple' sono più di due, e ciò rende la situazione quasi disperata. I rappresentati eletti nell’organo legislativo europeo hanno chiesto di istituire un gruppo di lavoro composto dalle autorità competenti degli Stati membri, dalle organizzazioni umanitarie che operano sul campo e dalle agenzie dell’Unione e dell’Onu, al fine di predisporre con urgenza mezzi per il trasporto dei rifugiati e la creazione di vie sicure e legali, marittime e terrestri. Peccato che poche settimane fa siano stati il Consiglio europeo e la Commissione a concordare con la Turchia un piano di respingimenti dalla Grecia che va nella direzione opposta. E che le organizzazioni umanitarie chiamate in causa ieri siano le stesse che da giorni denunciano l’uso di violenze e di gas lacrimogeni contro i migranti accampati a Idomeni (da parte della polizia macedone, ma nell’inerzia di quella greca). Il Parlamento europeo ha auspicato che il 3 ottobre, anniversario della tragedia di Lampedusa, diventi un Giorno della Memoria per i migranti che sono morti fuggendo da persecuzioni e conflitti. C’è da sperare che non sia questa l’unica, ipocrita, raccomandazione accolta operativamente dall’Europa, ancora capace di grandi ideali e di nobili progetti, ma che continua a sacrificarli a un miope egoismo. Le personalità multiple possono convivere per un po’, prima di condurre alla dissoluzione del soggetto, ma sono sempre foriere di irrazionalità e di sofferenza. Serve urgentemente una cura.
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