Lotta alla corruzione: prima di tutto gli anticorpi
giovedì 9 gennaio 2020

Viviamo una stagione di smarrimento, dove le certezze hanno da tempo lasciato posto allo scetticismo e dove tanto, quasi tutto, sembra poter essere messo in discussione. È un momento propizio per far apparire normale e tacitamente condiviso ciò che normale non è, perché contrario all’interesse della collettività e a quella aspirazione al bene e alla giustizia che alberga nel cuore di ogni persona. La corruzione, per esempio. Un fenomeno che viene sopportato e da molti – da troppi – considerato un prezzo da pagare per 'aggiustare' le cose, per conseguire per via breve un obiettivo altrimenti irraggiungibile o che richiederebbe troppo tempo e troppa fatica.

È un tumore che si è insinuato nei tessuti vitali della società italiana, è un’anomalia che in molti ambiti sta creando acquiescenza, fino a diventare mentalità diffusa e condivisa. Il presidente Mattarella ha parlato di «un sistema gelatinoso» che «divora risorse, nega diritti e mina il rapporto di fiducia tra Stato e cittadini», offrendo ampi margini di azione alle varie mafie che operano nel Paese. Basti un dato: nella classifica della corruzione percepita, curata da Transparency International, l’italia si colloca al cinquantaquattresimo posto nel mondo su 180 Paesi esaminati e al venticinquesimo su 31 in Europa.

Non che manchino nel nostro ordinamento leggi e provvedimenti pensati per contrastare questo malcostume. Ma nessuna norma, per quanto evoluta, può bastare per arginare la pervasività di questo tumore, se non è accompagnata da un impegno continuo a livello educativo, che arrivi al cuore delle persone. Educare alla legalità e alla giustizia è fatica che compete a tanti: scuola, famiglia, mezzi di comunicazione, movimenti e associazioni, che certamente in questi anni si sono impegnati su questo fronte, a volte pagando costi alti fino al sacrificio della vita.

Solo uno sforzo costante e un’alleanza trasversale tra istituzioni e società civile possono portare a risultati significativi, come risulta evidente dalle pagine di un libro di recente pubblicazione – 'Dialogo sulla corruzione. Giustizia e legalità, impegno per il bene comune', Editoriale Scientifica – in cui si confrontano due personalità da tempo impegnate su questo fronte in 'zone di confine': Claudio Sammartino, prefetto di Catania, e Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale.

Nel dialogo che segue al racconto delle loro esperienze, curato dal giornalista Giuseppe Di Fazio, entrambi riconoscono l’inadeguatezza di un approccio meramente sanzionatorio, che si limiti all’inasprimento delle pene o al ricorso a iniziative straordinarie, come pure l’insufficienza di una pur necessaria opera di intelligence per prevenire i reati connessi alla corruzione. Il prefetto denuncia «un vizio antico, quello di fare ricorso, per realizzare un obiettivo, a una iperregolamentazione puntuale che provoca inflazione normativa e con essa non trasparenza ma confusione e opacità ».

Ed evidenzia il paradosso che «la complessità delle regole favorisce la scarsa trasparenza e la diffusione della corruzione». Il vescovo sottolinea che la Chiesa è in campo da tempo e a vari livelli. Papa Francesco, come i suoi predecessori, è intervenuto a più riprese mettendo in rilievo che la corruzione «trova sempre il modo di giustificare se stessa, presentandosi come la condizione normale, la soluzione di chi è furbo, la via percorribile per conseguire i propri obiettivi».

E sottolineando che la radice profonda della corruzione si trova nel cuore umano. I vescovi italiani ricordano che «il senso della legalità non è un valore che s’improvvisa. Esso esige un lungo e costante processo educativo » ('Educare alla legalità'). Esige cioè una mobilitazione delle coscienze che porti alla moltiplicazione degli anticorpi per contrastare il tumore, per favorire un cambiamento della mentalità a cui deve fare seguito il cambiamento dei comportamenti concreti. E questo dai piani alti dei Palazzi istituzionali fino alla strada, dove si consuma la vita di ciascuno di noi.

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