martedì 2 febbraio 2010
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Il patrimonio agroalimentare della nostra Penisola è una forza economica e culturale formidabile, che rischia di essere scambiata con qualcosa di molto meno prezioso. Un po’ per l’interesse alcuni, un po’ per la disattenzione di molti e un po’ per una fede, tutta ideologica, nelle nuove tecnologie.  La verità è che non ci rendiamo conto di cosa abbiamo per le mani. La forza dell’agricoltura italiana è anche genetica, la si deve anche a quello che generalmente viene chiamato, con un termine un po’ freddo, biodiversità. Aprire in modo indiscriminato agli Ogm, perché di questo si tratterebbe senza i piani di coesistenza con le colture tradizionali, sarebbe un errore forse irreparabile. I prodotti dei nostri territori sono la cristallizzazione di culture e tradizioni a volte centenarie. Non possiamo cederle, magari per un vantaggio economico iniziale, perdendo con esse anche la nostra identità. Al valore culturale bisogna aggiungere quello economico: mi chiedo chi cambierebbe oggi un mobile trovato in un vecchio casale risalente all’inizio del secolo scorso con uno più moderno, magari composto di lucente formica e truciolato? Nessuno. Eppure, negli anni Sessanta e Settanta, i nostri genitori lo hanno fatto, convinti di aprirsi al nuovo e alla modernità. Sappiamo bene che in fondo era un’esigenza del mercato. Sappiamo anche che spesso i bisogni dei consumatori e del mercato possono essere indotti da chi ha interesse a farli emergere. Questo non ci deve scandalizzare, ma saperlo ci deve rendere consapevoli della partita che stiamo giocando.Sono in gioco gli interessi di milioni di contadini, di milioni di consumatori e in ultima analisi la stessa identità dell’agricoltura italiana, che non possiamo spazzare via in nome di una presunta modernità che non ammette obiezioni. Non tutto quello che è possibile fare con nuove o vecchie tecnologie è un bene in ogni contesto e in ogni luogo. Credo che la funzione della politica sia proprio questo: riuscire a comprendere e a guidare i processi di modernizzazione. Perché i nostri contadini dovrebbero pagare le royalty a multinazionali proprietarie delle sementi geneticamente modificate? Perché le nostre produzioni tradizionali devono essere messe a rischio dall’arrivo di queste nuove sementi? Siamo certi che gli organismi geneticamente modificati siano sicuri per la salute dei consumatori? Perché dovremmo alterare il normale ciclo delle stagioni?Gli Ogm non possono essere la risposta ad un mercato dove i nostri cibi si confrontano con quelli venduti a prezzi irrisori perché prodotti da Paesi che pagano i loro braccianti due euro al giorno. La qualità e la diversità sono le principali caratteristiche che rendono competitivi i nostri prodotti; se accettiamo di rinunciarci per un vantaggio a breve termine è chiaro che alla fine ne usciremo sconfitti.Il Mon810, il mais Ogm oggetto della sentenza del Consiglio di Stato, ha l’autorizzazione alla coltivazione comunitaria scaduta e non gli viene rinnovata, poiché l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) sta valutando le ricadute ambientali della coltivazione con un monitoraggio attento ed esami approfonditi. Proprio adesso noi dovremmo invece consentirne la semina indiscriminata?Mi pare una scelta assurda e insensata cui mi opporrò in ogni sede, anche perché conosco la sensibilità della stragrande maggioranza dei cittadini cui in ultima istanza sono chiamato a rispondere come ministro e come uomo politico.
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